ARIZONA, UTAH, BRYCE CANYON
- Luigi Perissinotto

- Jun 7, 2023
- 4 min read
08 Giugno 2023
Ci sono diversi modi e tecniche e anche teorie per viaggiare. Tutte più o meno condivisibili. Non sono un talebano dei viaggiatori e da soli, in gruppo, organizzati o non, in tenda, caravan, sotto un ponte o in albergo mi va tutto bene. Per questo lungo viaggio ho optato per un approccio fluido e ignorante. Non ho studiato! Non ho studiato l'itinerario nei minimi dettagli, e sarebbe stato inutile con una coppia di anarchici delle mappe come noi due. Non ho studiato le tappe, le località, i luoghi se non in maniera volutamente superficiale. Non ho letto diari di viaggio e non ho letto blog come questo mio. Non ho aperto Wikipedia e non ho cliccato sui siti specializzati. Volevo e voglio sorprendermi ogni giorno. E allora siamo qui quasi per grazia divina.
E tutto, quasi tutto, miracolosamente funziona. Tranne la fotocamera, tranne le mie ginocchia e la mano di Ricardo un po' dolorante. Ma per il momento ce la caviamo egregiamente. Oltretutto la strada è lunga e non possiamo permetterci soste prolungate. Siamo diretti al Bryce Canyon National Park nello Utah. Parto dalla fine: quello di oggi è stato, dal punto di vista paesaggistico, il percorso più bello più colorato più vario e forse uno dei più lunghi. La meta finale, il Bryce Canyon non può essere descritto tanto è inverosimile. Comunque ci provo.
Lasciamo Tusayan molto presto, alle 7 del mattino, ed entriamo ancora in area parco Grand Canyon per percorrere la s.r (state road) 64. Ed iniziano nuovamente le mie intime, più o meno silenziose, esclamazioni di pura meraviglia. Questa strada ad una sola corsia di marcia è un "sentiero" in mezzo ai boschi. È un incontro di daini in mezzo alla foschia del mattino, lucente come pulviscolo di infinite minuscole stelle. Per oltre 50 chilometri costeggiamo il Rim con le immancabili visioni sullo scenario apocalittico del Canyon mentre a destra il bosco sembra curato da un sapiente giardiniere. Siamo da soli, nessun pickup, nessun cottage, nessun turista e purtroppo nessun ristoro. Penso ai nativi, ai Navajo, o ai pionieri vissuti e passati da queste parti che dopo centinaia di miglia incontrano questo possente drago roccioso con artigli di creste scoscese che si erge, anzi di cela, davanti loro. Invalicabile ma sicuramente valicato.
Usciamo dal parco e il parco ovviamente continua, quasi più bello di prima tra spaccature profonde che segnano come vene l'immenso altipiano. La s.r. 64 è sinuosa pulita ed in costante discesa e le fenditure nel terreno , in questa immensa valle si fanno più frequenti ed in ogni direzione. Le montagne ai lati sono montagne da imboscata e le indicazioni per le "scenic view" mi fanno pensare alle postazioni indiane occultate nei punti strategici. Dopo le terribili gole ipogee scavate da fiumi primordiali iniziano, sotto un cielo azzurro e, come al solito infinito, violenti scenari riempiti di colori impossibili da spiegare. Montagnole a perdita d'occhio, non più alte di 30 metri, di un nero assoluto su prati gialli macchiati da piccoli arbusti azzurri. In lontananza montagne senza guglie, piatte e spoglie, ed ancora più lontano una vetta isolata imbiancata dalla neve.
Abbiamo cambiato strada adesso siamo sulla Route 89 North verso Cameron. Praticamente un incrocio spazzato dal vento in mezzo a dune striate di ocra e di rosso. Compaiono le prime baracche e le prime auto scassate attorno alle baracche, un distributore e un caffè con l'insegna Navajos che ignoriamo. I monticelli neri lasciano il posto a monti più alti, levigati dall'erosione credo del vento. Siamo entrati nella Navajo Nation (Nazione Navajo) che sarà anche la nostra regione per alcuni giorni. In giro solo poche e misere baracche e qualche faccia indiana stravolta dall'alcol e barcollante mentre attraversa un passaggio non pedonale. L'alcolismo è un serio problema da queste parti e adesso, mentre mi guardo attorno, credo di capire alcune ragioni. Nonostante l'evidente bellezza del territorio questo è un mondo isolato, povero e abbandonato. Difficile per chi non viene aiutato e non viene ascoltato. Ci sono altri cambiamenti del paesaggio. Fanno la loro comparsa gli "hoodoos". Cosa sono? La voce del mio capo indiano "bandaged hand" (mano fasciata) tuona: montagne con pietra sopra!
La Route sale verso lontane colline, alcune sembrano addirittura disegnate sull'orizzonte oltre il profilo della strada, un rettilineo iconico di quelli visti in tanti film americani, eclatante per oltre 50 miglia, fino alla cittadina di Page. Ci fermiamo sulla diga di Hoover sul lago Powell. Iconico anche questo e creato per dare da bere alla città di Las Vegas e a tutto il Nevada oltre a produrre corrente elettrica. Dopo il lago Powell lasciamo l'Arizona per entrare nello Utah. Grande stato l'Arizona! Non farò classifiche, né ora né alla conclusione del viaggio, però ci metto un promemoria.
Nello Utah il territorio è inizialmente simile allo stato che abbiamo lasciato per poi ritrovare il verde dei boschi in prossimità del Bryce Canyon. L'entrata di quella che a me sembra una valle piuttosto che un canyon è spettacolare con i primi agglomerati rocciosi, che ricordano sia la forma di grossi funghi sia di pronunciate stalagmiti, di un rosso cupo pastoso ed intenso. Montiano velocemente la tenda in un angolo meraviglioso di questo paradiso terrestre. Dietro di noi, dietro la tenda, spuntano dal canyon le ambrate guglie rocciose. Un breve tragitto e si materializza, oltre un piccolo rilievo, una visione trasognante, uno spettacolo unico della natura, un tuffo nella psicadelia delle forme e dei colori. Nulla di più bello davanti ai miei occhi.
Quante volte l'avrò detto durante questo viaggio, ma ogni bellezza rinnova il mio entusiasmo. La bellezza non avrà mai fine e non ha mai avuto inizio ed esiste per essere goduta. Lascio dire alle foto tutto ciò che non so dire mentre lascio andare il racconto per riprenderlo domani.


























Comments