RIENTRO A VENEZIA - 26 E 27 GIUGNO
- Luigi Perissinotto

- Jun 26, 2023
- 7 min read
21 Luglio 2023
Volutamente ho tralasciato di raccontare i miei due ultimi giorni di viaggio (26 e 27 Giugno) e non perché non ci sia nulla da raccontare, anzi. Semplicemente perché il viaggio mi sembrava finito nel momento in cui, salito sulla corriera da San Miguel de Allende per l'aeroporto di Città del Messico, mi sono reso conto del repentino riadeguamento mentale dei miei pensieri e dei miei desideri. Ero già in Italia e pensavo e agivo come un "povero" europeo. Ho guardato i miei pochi compagni di viaggio e nessuno mi assomigliava. Pelle scura capelli e baffi neri alla Pancho Villa, occhi neri piccoli e profondi, mascelle squadrate e abbigliamento stravagante e colorato. Ho guardato il paesaggio scorrere oltre il finestrino: non un albero, solo sterpaglia grigia su un terreno grigio. Poche abitazioni molte baracche, troppe capanne, alcuni asini. Ho osservato il cielo senza nubi e l'orizzonte senza termine e il sole su tutto.
Per un paio di ore, la durata del viaggio, ho guardato tutto questo con occhi diversi da quelli del giorno precedente e da quelli di quest'ultimo mese, con occhi impregnati di labili e vacui pregiudizi. E mi sono meravigliato e sorpreso e nello stesso tempo anche piuttosto preoccupato per aver dimenticato, in modo così rapido e volubile, molte cose che fino a ieri davo per scontate. Aspetti e strutture mentali e materiali che erano diventate le mie linee guida. Prima fra tutte il modo. Il modo di viaggiare e la propensione al viaggio. In quel frangente mi sembrava di aver scordato, anzi rinnegato, tutto. I miei occhi cercavano le comodità occidentali e mi vergognavo dei miei pensieri. Le facce degli indios, il terreno arido, le case trascurate, la sporcizia, la polvere, tutto improvvisamente mi disturbava. Avrei voluto pulire tutto, aggiustare tutto, dipingere di verde il deserto e regalare una camicia bianca all'uomo accanto a me.
Poi la bellezza. In quel momento mi ero scordato anche la bellezza. Cercavo l'ordine la lucentezza e i parametri e gli stili di una civiltà nota che mi aveva barricato in casa. Ora invece viaggiavo, ero, in mezzo alla polvere. Quella del deserto, quella che si alzava dalle aie di povere casupole. Sabbia e terra ocra alzata dal vento. Elementi vivi di questo paese, problematico, ma vivo. La bellezza delle cose vere perché semplici e spesso nascoste o travisate. La sabbia che occulta parte della luce del sole e la trasfigura e la rende magica. Il respiro della terra arida e gialla era il codice che fino a ieri mi aveva aiutato a decifrare un mondo diverso dal mio. Altrettanto bello altrettanto ricco senz'altro più genuino. Ma in quel momento non capivo. Ero frastornato e confuso e la mia mente ed i miei occhi creavano immagini e suggestioni controverse e fuori luogo. Un tavolo ed una tovaglia pulita, un filare di alberi con foglie verdissime mosse dal vento, un parcheggio e gente triste con carrelli stracolmi di cose. Forse mi ero addormentato!
La corriera, come previsto, alla fine raggiunge la propria meta e desta dal torpore i propri ospiti, risveglia e riordina anche le mie consolazioni di viaggiatore fortunatamente e volutamente irragionevole. Sono nuovamente a Città del Messico e le mie equivoche riflessioni svaniscono e torno ad essere me stesso, ovvero quel me stesso che preferisco. Quello che ora può raccontare. Ed inizia una nuova, breve, quasi pericolosa, avventura.
L'aeroporto è un mondo parallelo ed in questo di Mexico City sono entrato attraversando, a mia insaputa, una hall di un grande albergo. Chiedendo informazioni al fattorino in divisa, all'addetto agli ascensori, ad una turista muta, ad un paio di venditori di teschi (un souvenir comune in Mexico). Percorrendo un androne lungo, infinito e caotico. Ovviamente scale mobili e corsie mobili verso l'ignoto. Finalmente vedo l'indicazione del banco di accettazione Iberia e del mio volo e la lunga coda di gente confusa nelle serpentine di avvicinamento. Fortunatamente il mio arrivo in aeroporto è avvenuto con quattro ore di anticipo! Fiducioso consegno alla signora del check in il mio passaporto... ed iniziano le "disgrazie".
Adesso sono diventate materia di racconto, ma laggiù, in quel momento mi sono parse infide calamità da rimuovere dalle mie storie. Il passaporto, il mio unico passpartout, era inutilizzabile, incompleto se non addirittura illegale! Ero un clandestino in Mexico per la mancanza del timbro di ingresso e, mentre l'hostess al banco lo cercava girando pagina per pagina, mi rendevo conto del "casino" in cui mi trovavo. Dal Texas, da Eagle Pass, al Mexico le guardie non avevano effettuato il controllo documentale e il nostro ingresso era stato autorizzato solo con un cenno dell'avambraccio che Ricardo (colgo l'occasione per raccontarlo), ha pensato bene di contraccambiare lanciando, dall'auto in movimento direttamente in un bidone della spazzatura, una bella tazza Texana. Gesto inconsulto se non azzardato che ovviamente non poteva passare inosservato. La guardia, bardata da guerriglia urbana con giubbotto antiproiettile, casco integrale, passamontagna e una serie di armi terrificanti se non addirittura delle bombe a mano (di sicuro mi sbaglio) si avvicina con mitra spianato (o qualcosa del genere) al mio autista indisciplinato; immediatamente lo rimprovera aspramente, ma subito dopo i due "guerriglieri" si mettono a sghignazzare. Ripartiamo e Ricardo mi spiega le modalità del provvido salvataggio in extremis dal plotone di esecuzione: al "nostro" eroe è passato per il cervello di raccontare, al Vigilante Mexicano, che il proprio incontrollabile istinto gli aveva ordinato di eliminare una tazza degli odiosi Texani ricevuta, poco prima, in regalo a Eagle Pass. Una bella panzana che ha molto divertito e soprattutto convinto la Guardia Nacional evitandoci una sicura fucilazione!
Ma torniamo in aeroporto. In un inglese spagnoleggiante ed in uno spagnolo italianizzato mi viene indicato il modo per aggiustare il "casino" del passaporto. Devo obbligatoriamente recarmi all'ufficio immigrazione per sanare la mia posizione di ospite illegittimo. L'ufficio non è lontano ma la coda, come tutte le code, mi sembra interminabile. Il contesto è funesto fin da subito, ma le persone davanti a me sono un gruppo di venezuelani e alcune famiglie che scorrono via abbastanza velocemente. Purtroppo ci sono anche degli infiltrati che vogliono a tutti i costi diventare miei amici, probabilmente per confondere o corrompere il funzionario. Per poco ci casco.
Arrivo dinanzi al giovane funzionario, unico al lavoro tra altri che vedo gironzolare. Giovane e non armato. Per regolarizzare la faccenda devo pagare 670 pesos (circa 36 euro) e servono la fotocopia del passaporto e della carta d'imbarco. Purtroppo il tempo scorre velocemente e abbiamo difficoltà ad intenderci. Iniziano così le mie intemperanze. In un pessimo inglese incomprensibile anche a me stesso cerco di addossare le colpe di questa inefficienza al sistema di controllo messicano in frontiera e pretendo anche di non pagare l'ammenda. Errore gravissimo! Soprattutto in Messico, in Dogana, in Aeroporto, con il mio aereo in partenza e con tutte le colpe oggettivamente a mio carico. Il giovane funzionario non si degna di rispondere e con un sopracciglio mi indica l'ennesima guardia armata. Io, ancora incavolato, alzo inopinatamente la voce ed il giovane funzionario alza anche l'altro sopracciglio. Finalmente capisco di essere nuovamente candidato alla fucilazione. Abbasso voce, capo e, possibilmente, anche la mia statura. Non passo inosservato e la guardia, armatissima, mi lancia un sorrisino beffardo. Un addetto mi indica un negozio, interno all'area aeroportuale, dove poter fare le fotocopie. Ovviamente c'è la coda. Ovviamente ci sono 200 pesos da pagare. Ritorno, azzimato, all'ufficio immigrazione ed ovviamente c'è la coda. Mi faccio notare dal giovane funzionario che non mi degna di uno sguardo e mi fa capire che devo rispettare la fila. Il tempo passa e io sudato, stanco, avvilito e bisognoso di toilette sono ad un passo dal crollo psicofisico. Mi salvano i venezuelani che mi fanno passare in cambio di una foto con il loro cellulare. Il giovane funzionario quando mi vede rallenta palesemente i già lenti ritmi di lavoro. Abbozzo una scusa in un inglese perfetto, ma il tizio non mi bada proprio, incassa il denaro gira a vuoto alla ricerca di bolli timbri e non so che altro e, alla fine, non saluta. Non avevo dubbi. Io invece lo saluto con un sommesso "f..k you". Ritorno al banco del check in. Ovviamente c'è coda. Mancano venti minuti all'imbarco, ma sono salvo. Un'ora dopo sono in volo verso Madrid. Tralascio i piccoli consueti inconvenienti a bordo solo perché a me piace volare, a prescindere.
Aeroporto di Madrid ore 14,20. Bello ma incomprensibile. Androni vuoti, scale mobili verso il nulla e cartellonistica arabeggiante. Alla fine scopro che per i voli area Schengen devo prendere due trenini della metropolitana. Durata del viaggio circa venti minuti. L'altro lato dell'aeroporto Adolfo Suarez di Madrid-Barajas è diverso dal precedente solo per la massa imponente di gente, come si conviene ad un grande hub aeroportuale. Cartellonistica e passaggi automatizzati, invece, sono come i precedenti ed a rischio "Casa degli specchi" del luna park. Il gate per Venezia non è ancora disponibile e la sosta prevista a Madrid è di ben otto ore. Tento una toccata e fuga in centro città, mezzi ed orari sono accettabili, la calura assolutamente no e rinuncio. Gironzolo a vuoto alla ricerca di un luogo tranquillo che individuo tra i nastri della consegna bagagli. Mai scelta fu più sciagurata. Dieci minuti dopo il nastro inizia a girare e non si fermerà più. Scelgo l'ultimo nastro, ma sono costretto a cambiare ancora ed ancora fino a trovarne uno con il monitor degli arrivi spento. Mi fermo accanto a due fidanzati, anche loro alla ricerca di un angolo appartato, e capisco che è il posto giusto. Affinché sia ancor più giusto utilizzo la mia bandana per tenere al riparo gli occhi brucianti e lontani gli intrusi. Ogni tanto controllo l'ora. Alle 17 sono stanco di controllare l'ora ogni dieci minuti e senza aver riposato mi immergo nuovamente nel caos.
Finalmente compare il mio volo per Venezia con un avviso di ritardo di un'ora poi un aggiornamento con un ulteriore ritardo. Ad un certo punto mi convinco che il volo verrà annullato nonostante le tantissime persone in attesa e già rumoreggianti. Telefono a Marzia per avvisarla di non venirmi a prendere al Marco Polo e che avrei passato la notte a Madrid in attesa di un volo sostitutivo. Alle 22,30 viene annunciato un arrivo da Palma de Mallorca e la ripartenza per Venezia al completamento di sbarchi e rifornimenti. Richiamo casa e risponde Francesca che, da provetta viaggiatrice quale è, stava aspettando al varco certa che il volo sarebbe prima o poi partito. Viene lei al Marco Polo e alle due del mattino varco la porta di casa. Con le valigie. Non avrei mai messo le mani sul fuoco, per nulla. Tanto meno per le valigie.











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