IL VIAGGIO CHE NON HO FATTO
- Luigi Perissinotto

- Feb 26, 2024
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Updated: Feb 28, 2024
26 Febbraio 2024
Il viaggio che non ho fatto è quello che ho atteso, inseguito e voracemente consumato l'anno scorso in Nord America.
Ho viaggiato per oltre settemila chilometri attraverso tante terre e altrettanta polvere, troppo sole e troppo vento, un ottovolante dei sensi, stelle come fari a Disneyland e ho visto tanto e ho compreso forse poco.
Ho visto i rottami di molti sogni americani, rottami di corpi e macerie e di anime in ogni dove. Carcasse di auto e di uomini. Ho visto poltrone sfasciate nei caravan e uomini lerci sopra lerci divani, distesi in tuta blu e cappello da baseball. Ho dormito nella lordura di stanze maschili, ho condiviso cibo spazzatura e lattine di birra squarciate con uomini sconosciuti in case come discariche. Ho anche attraversato giardini immacolati con aiuole trigonometriche e viali pomposi come ingressi Palladiani, ma non ho ancora capito cosa celava il mio desiderio e dove avrei assopito le mie brame.

Ho visto motociclette piene di rumore e di acciaio cromato. Con in sella uomini barbuti come vichinghi con il cappello di John Wayne e birre ghiacciate alle pompe di benzina. E ancora ghiaccio, inutile e rovente, tra le baracche indiane. Ghiaccio senza motivo tra la polvere e tra i rottami degli Apaches e dei Navajos.

Ho visto silos enormi, forse pieni di grano forse di serpenti a sonagli forse vuoti. Silos come serbatoi di navi spaziali. Silos in mezzo a praterie gialle e nuvole di polvere gialla. E treni infiniti più lunghi dell'orizzonte e più lenti della mia aritmetica interrotta al 213º carro.
Ho parlato con donne grasse e uomini sporchi e con uomini grassi e donne bionde, bellissime e senza denti. Ho guardato le loro t-shirt con i colori dei L.A. Lakers e mi sono ricordato di mio figlio con la stessa maglia. Ho mangiato schifezze con eccessiva accondiscendenza e prelibatezze con diffidenza. Hamburger mollicci con salse gialle e verdi e fucsia. Polli fritti a pezzi e interi, pesci fritti e patate fritte e ancora salse di mirtilli e di fagioli. Pizze di gomma spesse come un materassino gonfiabile con litri di cappuccino per dessert e pepsi per deglutire senza lacrime.


Ho visto scorie di peanuts sui pavimenti e sui banconi di legno e Bud rovesciate e bottiglie vuote e rifiuti di cibo ovunque, anche sui piatti della cucina anche ai bordi del marciapiede. Per miglia e altre mille miglia ho guidato senza curve, ho dormito guidando e ho passato notti insonni sotto stelle troppo vicine e freddi troppo acuminati.

Ho sognato curve lungo fiumi gialli senz'acqua e rocce carminio e cieli viola. E frontiere senza steccato e squallidi paesi di dubbia fratellanza. Una discesa verso il mezzogiorno di uno sconfinato continente tra nebbie di acque impenetrabili lungo le coste atlantiche, e nebbie impenetrabili di polvere su deserti indiani senza nome e su deserti indiani con nomi eclatanti, epici e cinematografici: Sonora, Mojave e Chihuahua. Deserti senza stato, senza inizio e senza fine, attraversati con immensa commozione e altrettanto rispetto.

Ho acceso fuochi tra campanili di linfa e resina con tetti puntuti infilati tra le nuvole. Ho spento fuochi per non incendiare moltitudini di verdi colonne in ombrose cattedrali ancestrali. Ho parlato con Texani con e senza capello texano, visi pallidi con Winchester, Colt e automatic pistol tra Nativi silenziosi come nei film di John Ford. Ho straparlato a vanvera con Canadians e Mexicanos e nessuno mi ha mai capito mentre io non capivo loro.

Ho gli occhi confusi tra praterie, deserti montagne coste oceani gole laghi fiumi e canyons. E cieli immensi. Ho visto volare mille Thunderbird azzurre con giovani ragazze dai lunghi capelli al di là del Grande Canyon. Sono stato trafitto da occhi chiari di persone emaciate e da Latinos indaffarati con occhi neri come buchi su facce di cuoio.



Ho seguito rotte infinite interrotte solo da insegne di Motel economici e distributori di "oil" in galloni con prezzi enigmatici. Parcheggi pieni di autotreni, di auto e pick-up ugualmente cromati e di targhe come stendardi sulle navi. E mozzi acuminati come l'Aston Martin dell'agente Bond. James Bond. Scuolabus gialli, nuovi da sembrare vecchi, abbandonati lungo le strade, vecchi da sembrare antichi.

Ho attraversato ponti di ferro come Eiffel rovesciate nei fiordi dell'oceano, nelle gole dei fiumi nei calanchi del deserto. Oltre il Rio Bravo sono rimasto impavido lungo una staccionata chiamata "border" con le mitragliatrici spianate da "Terminator" corazzati in tute nere come astronauti alieni. Con bombe in bellavista e passamontagna a 40 gradi.


Nella mesa infinita, al limitare dei duemila senza montagne, ho visto e ho assaggiato molti colori e ho sconfitto mille torridi miraggi. Lungo asfalti messicani liquefatti, nelle praterie tra case decrepite in mezzo a sparuti saguari e altrettanto sparsi Joshua Tree ho incontrato carovane di vento e tumbleweeds rotolanti. In capanni di nylon e cannucce con l'insegna "Restaurant" mi sono nutrito di pietanze odorose, piccantissime "mischiatissime" ai limiti del brodo primordiale.


In una baracca azzurra lungo un'autostrada dissolta in una polverosa via paesana ho placato un inutile e misero appetito "succhiando" denso “menudo" dal bordo di una sbrecciata ciotola azteca. Nient'altro che grondante trippa bovina servita sullo sbilenco davanzale di una altrettanto scardinata balconata. Con birra scadente, ghiacciata quasi cristallizzata quasi imbevibile.


Ho trasceso i confini terrestri verso mondi alieni. Ho circumnavigato pietre immense, piramidi come astronavi nel deserto, come Stargate dormienti. Piazze e viali come aeroporti nella sabbia, come portaerei arenate. Ho sentito le urla delle antiche popolazioni e attraversato folate di vento affollate di fantasmi ululanti. Sono salito nei cassoni delle Toyota assieme a mamme fasciate in vivaci tappeti e bambini senza voce, ma con mille domande negli occhi. Su strade come crateri tra cani randagi in litigiosa processione.

Ho passato alcune notti ascoltando musica accanto a danzatori di Flamenco sorseggiando tequila e birra scadente. Ho ballato senza grazia nella piazza antica di un paese antico assieme a cantori Mariachi vestiti come Don Diego de la Vega.

Ho ascoltato Lucio Battisti davanti ad un piatto di pasta scondita e vino italiano con un artista figlio di tre continenti. Mi sono infine addormentato stanco l'ultima notte.
Ho sognato mille altre cose l'ultima notte ed al risveglio ho scordato tutto.
Per questo oggi mi sono illuso di ricordare. Poco, senza criterio, con evidente disordine.
Ho solo fragore assordante nel cuore e nella mente, una vertigine pura, per le vastità che ho trapassato, per la terra che ho calpestato, tanta quanto non vedrò mai più. Quanto cielo sopra di me, più profondo degli abissi oceanici. Volti senza nome, strade senza fine, città abbandonate, solo scompiglio dei sensi … nelle isole sperdute della British Columbia, lungo la costa atlantica dell'Oregon, sotto le sequoie millenarie della California, scalzo nel deserto infinito del Nevada, seduto sulle rocce più rosse dello Utah, al margine di profondi canyons dell'Arizona, perso nelle praterie ventose del Texas, avvolto nella polvere gialla della mesa del Chihuahua, confuso nei colori sfolgoranti del Queretaro, tra le pietre azteche di Teotihuacan…, solo in questi luoghi, nello spaesamento totale del mio corpo e della mia mente, come in una capsula iperbarica ho respirato ossigeno puro, ho ascoltato il battito del mio cuore, ho avvertito il rumore della mia anima.







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