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ATLANTICO FRANCESE - NORMANDIA E BRETAGNA - II PARTE

  • Writer: Luigi Perissinotto
    Luigi Perissinotto
  • Aug 27, 2024
  • 6 min read

Updated: Sep 16, 2024

2-9 agosto 24


27 agosto 2024

Aspetto solo l'oceano. In questo momento sembra essere il mio unico interesse. Con lo sguardo cerco un segnale oltre le basse colline al di là degli alberi.


Consapevole della mia pochezza visionaria e della mia imprudenza intellettiva osservo il paesaggio normanno nella speranza di trovare le icone che vagano del mio inconscio: dune, vento, siepi e doline, villaggi, segnali stradali, cavalli allo stato brado e gente con il basco ... e l'oceano! Abusate aspettative di un cronico viaggiatore pindarico mentre il bisogno di trovare un "oceano di realtà" prevale su tutto e diventa via via sempre più pressante.

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Ho una smania fanciullesca di immergere i piedi nella Manche, nella Manica, per confermare quanto sia fredda quest'acqua, per controllare non ci siano più navi alla fonda davanti alle spiagge dello sbarco e che non ci siano più soldati nei bunker di cemento dietro le feritoie.

So che la strada che mi porterà alle spiagge atlantiche dovrà passare per Rouen, la città più importante della Normandia, e so anche che Rouen, purtroppo, non è sul mare! Ancora una volta sto viaggiando senza mappa se non quella dei ricordi e Rouen, nel mio comodo e banale immaginario, è la città delle truppe americane, dei bombardamenti, della cattedrale di Notre Dame e "di Monet” ... e per l'oceano dovrò aspettare ancora un po'.

 

Mi rendo conto che questo territorio a nord della Francia è molto articolato, composito, ricco di storia, denso di richiami e di altrettante suggestioni. Molto difficile da raccontare, in particolare per chi scrive, soggetto alle divagazioni degli occhi e a quelle del cuore.

Rouen ad esempio. La città è stata miracolosamente risparmiata dalle distruzioni della seconda guerra e ogni passo sul selciato è una esplorazione del tempo trascorso: le case medioevali addossate sbilenche a sorreggere l'una il peso dell'altra, la cattedrale iniziata intorno all'anno mille, Giovanna d'Arco arsa viva nel 1431 fino all'incendio della cattedrale causato, nel 1944, dai bombardamenti della R.A.F.

In poche parole, le altre le lascio alle mille e mille informazioni che troviamo in internet, Rouen è un ennesimo incantato florilegio del gotico francese, un azzardo di inconsuete prospettive tra i tetti e le facciate delle case a graticcio e, soprattutto, di eccezionali memorie storiche ed artistiche.


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Rouen nei pressi della cattedrale
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Rouen sbilenche case a graticcio
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La sintesi di queste particolari emozioni si materializza davanti alla cattedrale, meglio se osservata in posizione defilata, leggermente a destra rispetto al fiammeggiante portale maggiore, e trova un senso nel momento in cui vorrei anch’io essere un pittore, anche modesto, ma imprigionato negli impalpabili veli di luce e nelle trine di brume mattutine, in un vertiginoso inganno di colori simili a quelli che hanno ispirato oltre cinquanta reiterati capolavori frutto delle ossessioni di Monet.

Ma i miei occhi non sono gli occhi di un artista e le mie ossessioni non sono ovviamente le stesse e la cattedrale, sotto un sole zenitale priva di quei riflessi e di quelle nebbie luminescenti rimane "solo" una solenne e bellissima “babilonia” architettonica.


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Rouen la Cattedrale di Notre Dame
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La Cattedrale di Claude Monet

A Rouen, dinanzi alla cattedrale, tento un approccio con un indigeno del luogo; non posso farne a meno e nonostante il mio incerto francese inizio ad importunare i passanti. Un anziano e rubicondo signore mi sembra un normanno. Tra l’altro non conosco i caratteri somatici e tanto mento l’aspetto esteriore di un normanno. Infatti, non lo è. E non lo sono molti altri a cui ho chiesto “es tu de ce pays? Tu es normand?”. Nulla da fare. Alcuni sono olandesi, altri danesi e altri ancora tedeschi. I normanni sono stati decimati! Mi viene in soccorso Gilles, bretone, di cui ho parlato nella ‘parte I’ di questo viaggio. Mi conferma di essere bretone ancor prima di essere francese, cornico (abitante della Cornovaglia) da parte di madre, ma non disdegna i normanni. Mi dice che il normanno, per i francesi, è persona tirchia come i liguri per noi italiani e che, per par condicio, i bretoni, sempre per i francesi, sono considerati un popolo di tonti come (forse) i veneti in Italia. Infine, per illuminarmi sull’aspetto dei normanni mi suggerisce di cercare tra la folla un grosso uomo roseo accompagnato da una altrettanto corpulenta donna con grossi seni e chiedere quale sia il loro cibo preferito. Se la risposta sarà “polenta di avena” avrò al mio cospetto due veri contadini normanni!

 

Lasciamo Rouen. Destinazione Atlantico francese. È solo un tratto di freddo mare, una lingua di oceano tra due paesi, è solo la Manica! Ma è la mia odierna ossessione!


Il mio sguardo è distratto da tante cose. Dalla vegetazione e dalle strade e dai piccoli borghi quasi invisibili. La rotta verso Étretat è quanto mai suggestiva. La nostra nave terrestre sta tagliando il territorio normanno al riparo di alte siepi, piccole e scure boscaglie e muretti di pietra. Temo di veder comparire un tank tedesco tra le fronde o una colonna di soldati americani ai bordi della strada.


Piccole case dai tetti grigi sono in parte nascoste da lievi avvallamenti, altre invece si palesano ai lati della strada quasi ad indicare un posto di ristoro per stanchi viandanti o sperduti marines.

La strada si trasforma in stradina, quasi un’unica e stretta carreggiata tra monticelli di lussureggiante vegetazione, appezzamenti coltivati e staccionate bianche e vacche al pascolo.

L'Atlantico ancora non si vede.

Poi, improvvisamente, la discesa. Una repentina svolta ed una altrettanto brusca "impennata" verso il basso. Credo e spero sia il preludio della scogliera. Intravedo le prime case, in legno a graticcio restaurate e non, alcune signorili villette, tutte con giardini "infioriti" e gente, molta gente lungo la via.

Quindi il borgo di Étretat e oltre il borgo il mare azzurro.

Aspettavo il deserto, dune di sabbia e vento freddo e un mare di acciaio. Tutto invece (o per fortuna) è molto bello, troppo per una carneficina... che in questo luogo non avvenne. Ad Étretat non ci fu alcun sbarco, non ci furono appostamenti strategici se non quelli dell'artisticamente prolifico Monet.

 

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Etretat strada verso il mare
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Etretat

Ad Étretat ora rinomata località di vacanze sul mare, un tempo amata da grandi artisti, si respira un'aria di "finis terrae" di asprezze selvagge mitigate dalla bellezza in tutte le sue manifestazioni, sublimata dalla speranza di un'ultima spiaggia prima del nulla. Mi illudo siano le medesime emozioni percepite da Claude Monet, Courbet e dagli altri impressionisti e da Maupassant, Leblanc e Flaubert che in questi luoghi hanno dimorato e trovato ispirazione per le loro opere.

 

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Etretat falesia bianca sull'oceano
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Etretat falese d'Amont
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Etretat falese d'Amont
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Etretat la falesia d'Aval dalla falesia d'Amont
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Etretat la spiaggia

Ad Étretat ritrovo quindi Monet, con le sue ossessioni. Questa volta per le selvagge falesie a picco sull'oceano. La falesia d'Aval, con il leggero arco bianco sul mare (l'Aiguille) che Guy de Maupassant definì "come un elefante che beve dal mare" e dalla parte opposta la falesia d'Amont e tra le due, una spiaggia che purtroppo, in questa giornata assolata, mi ricorda Mondello invasa dai bagnanti.

Salgo immediatamente sulla prima e quindi sulla seconda falesia nella speranza di allentare il contatto con gli umani, per scrutare da lassù la profondità dell’oceano tanto agognato, cerco e ascolto lo stridio dei gabbiani nell’illusione di poter svelare, grazie ad essi, i tormenti e le consolazioni del grande pittore. Per rendermi conto che la cattedrale di Rouen e le falesie di Étretat sono la medesima cosa. Entrambi opere divine! Entrambi sovrumane!

 

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Etretat la falese d'Aval
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Claude Monet la falese d'Aval

Torno sulla spiaggia incrociando enormi e famelici gabbiani che, radenti e affilati come proiettili, rubano i biscotti dalle mani dei villeggianti. Solo il vento proveniente dalle piccole brughiere alte sulle falesie scuote i miei perduti pensieri.

 

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Etretat scogliere sull'oceano Atlantico
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La Manche
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Etretat dalla falesia d'Aval
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Il ponte di Normandia passa alto sopra la foce dell’estuario della Senna e mi accorgo della sua ampiezza e della sua leggerezza quasi evanescente solo mentre entriamo a Honfleur.

Honfleur! Ancor prima di arrivare in questo borgo marinaro ho iniziato a fantasticare. Mi basta il nome Honfleur: un soffio su candidi petali.

In verità il nome deriva da "fleu", fiume in normanno antico, successivamente storpiato in "fleur" fiore, ma intuisco che la mia poetica trasposizione del nome non è poi così audace.

 

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La foce della Senna dal ponte di Normandia

Il borgo è in effetti un incanto prossimo alla perfezione, un mosaico di elementi paesaggistici formidabili. Il vecchio porto, le strette viuzze, i granai del sale e la chiesa di Sainte Catherine, i palazzi e le case a graticcio dai tenui colori pastello delle facciate che ne hanno fatto un luogo ideale, oggi per il turismo, un tempo per le “scorribande” degli impressionisti.


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Honfleur il porto
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Honfleur antiche case a graticcio
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Honfleur Chiesa di Santa Caterina

Fortunatamente risparmiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale la cittadina è ora una delle località più rinomate della Francia e la nostra birra artigianale, fresca servita fronte porto, sulla piazza acciottolata, avvolta nei soffici bagliori arancioni rosa e violetto del tramonto, non potrebbe essere più gradita.

Un breve ozio; domani è il giorno dello sbarco.

 

Segue Atlantico francese – III e ultima parte

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