ATLANTICO FRANCESE - NORMANDIA E BRETAGNA - III ULTIMA PARTE
- Luigi Perissinotto
- Sep 15, 2024
- 10 min read
Updated: Oct 6, 2024
2-9 agosto 2024
15 Settembre 2024
Attraversiamo lenti Caen. Lo sguardo non trova sollievo. La città è stata completamente rasa al suolo dai pesanti bombardamenti degli alleati, nel 1944, con lo scopo di rallentate i rifornimenti di uomini e mezzi da parte dei tedeschi. La successiva ricostruzione ha inevitabilmente snaturato il paesaggio urbano caratteristico di questi luoghi, composto da compatte e robuste case in mattoni color ocra, con tetti fortemente inclinati e alti comignoli. Di conseguenza l'atmosfera che qui si respira, o semplicemente la gradevolezza esteriore, non è paragonabile a quella che abbiamo percepito in altre località vicine, nonostante siano stati mantenuti, anche negli edifici più alti e moderni, alcuni elementi di contatto con la vecchia fisionomia cittadina come, ad esempio, negli intonaci esterni dal tenue colore giallo ambrato delle vecchie pietre o nei tetti, con la "rischiosa" pendenza delle antiche case normanne.
È tempo che la nostra nave volga la prua in direzione delle spiagge dello sbarco.
Sto ancora aspettando questo momento e, dopo Honfleur, l'eccitazione aumenta mentre in cuor mio, per uno schivo sentimento di mesta partecipazione, spero che il tempo cambi, che il sole si celi dietro le nuvole e che il vento del nord faccia sentire la propria voce. Che la bufera degli elementi stravolga la scena.
Ma il sole non eclissa, l'aria è tersa e il cielo è un cielo francese.
Ho già raccontato del mio stupore, quasi un disorientamento, durante il percorso che mi portava dalla campagna francese verso l'oceano. Anche in questo caso, come accaduto per Honfleur, sono sopraffatto ed estasiato dal territorio lussureggiante, dai piccolissimi borghi nascosti tra gli avvallamenti, dalle stradine strette e tortuose e dall'improvvisa apparizione del blu, profondo ed infinito dell'oceano, a fondersi ed a confondersi con l'altrettanto blu indaco del cielo. Fino ad arrivare ad Arromanches-les-Bains.
Arromanches come Honfleur. Diverse certo, ma entrambi con un nome evocativo, dolce, musicale e quasi romantico. A dispetto della storia che li ha travolti.
Arromanches mi evoca, ancora una volta, colori sfumati, tenui riflessi di albe e tramonti sulle falesie e romantici appostamenti di eccentrici pittori impressionisti.
Dall'alto di una piatta falesia osservo la lunga spiaggia sabbiosa antistante la cittadina. Un luogo ideale per uno sbarco di mezzi e uomini...che ad Arromanches non avvenne.





La cittadina, rinomata stazione balneare durante la Belle Epoque, venne scelta dagli inglesi per creare un grande porto artificiale da utilizzare dopo la prima ondata del 6 giugno. Questo scalo artificiale, letteralmente trainato via mare attraverso la Manica, venne utilizzato come base logistica per lo sbarco di materiali e uomini ed ancora oggi si scorgono, numerosi nella baia, enormi cassoni in cemento armato, pontoni ed altri manufatti alla fonda.

Torniamo verso l'entroterra e verso Bayeux. È la prima cittadina, a pochi chilometri da Omaha beach, ad essere liberata dagli alleati il 16 giugno.
In prossimità degli incroci cittadini mi fermo nella speranza di ritrovare le vecchie indicazioni stradali "Paris, Saint-Lò verso nord-est o Cherbourg dalla parte opposta", come nelle foto in bianco e nero di Robert Capa e di altri fotoreporter durante e dopo lo sbarco.


Bayeux è una bella città medioevale, ben conservata nonostante l'occupazione nazista, con una imponente ed immancabile cattedrale gotica dedicata, ancora una volta, a "Notre-Dame". È piuttosto rinomata, soprattutto in Francia, per un arazzo medioevale lungo 68 metri realizzato nel XI secolo conservato nel locale museo che, personalmente, non ho avuto la necessaria pazienza, al limite dello stoicismo, per riuscire ad esaminare fino all'ultimo centimetro.





Dopo Bayeux, nel primo pomeriggio, il cielo rimane blu ed il sole non accenna ad attenuare il suo riverbero infuocato. Sembra di essere in Sicilia, a San Vito lo Capo. Siamo invece a Pointe du Hoc! Tragico luogo di una invasione dal mare fortemente e tragicamente ostacolata. Dai rocciosi contrafforti e dalle furiose mitragliere.

A Pointe du Hoc finalmente ho visto e ho partecipato, non solo idealmente, ma quasi fisicamente e con intima "sofferenza". Ho esplorato oltre il filo spinato la punta di roccia strapiombante e la spiaggia di pietre. Ho visto la casamatta, la mitragliatrice ed i soldati nazisti. I giovani morti da entrambi le parti ed i crateri dei bombardamenti a centinaia, come tane scoperchiate sulla brughiera, ora fiorita.
Ora posso anche andarmene dalle spiagge delle Normandia.
Ora posso ritornare a fare il viaggiatore, percorrere strade, attraversare la storia e sopportare addirittura questo illogico sole Mediterraneo.










Con un tramonto rosso senza orizzonte e senza tregua, infinito e radente, arriviamo a Dinan. In Bretagna. Avverto immediatamente un richiamo irrefrenabile, impulsivo al limite del primitivo. Abbandono tutto, anche il nostro Comandante Federico scippato di braghe e camicia, e salgo verso il centro storico di questo, per me, misterioso paese. Le vecchie case a graticcio, le piazze lastricate ed i vicoli stretti scolpiti da raggi obliqui di un astro invisibile compiono il miracolo, inatteso e per questo ancor più prodigioso.





Dinan, il cui nome di origine celtica significa collina o fortezza è, tra tutti i paesi e le città attraversate tra Normandia e Bretagna, la più bella e la più vera fra tutte. Fiabesca come solo potrebbe esserlo Riquewhir in Alsazia (v. Colmar Francia - Leiden Paesi Bassi – II^ tappa pubblicato il 17 ottobre 2023). Magica come una novella boccaccesca.
Sarà la luce del tramonto o per il mio stato d'animo dopo Cape du Hoc, sarà per una malinconica indefinita nostalgia o semplicemente per la sua naturale bellezza, ma questo borgo bretone ha profondamente inciso tra le righe del mio composito taccuino di viaggio.






Il nuovo giorno inizia grigio. Verso est le nuvole viola, bitorzolute come immensi cavolfiori preannunciano pioggia. Il vento proveniente dal mare le tiene lontane.
Siamo diretti a Mont Saint-Michel, in terra Normanna per pochi metri e per colpa delle bizze di un fiumiciattolo dal corso mutevole.
Gilles, speciale guida bretone, ci porta per stradine secondarie strette e tortuose tra prati spazzati dal vento, segnate ai crocicchi da antichi simboli cristiani in pietra grigia. Stiamo percorrendo un arcaico cammino di pellegrinaggio mentre, non appena la vegetazione si dirada e la strada scavalca una piccola altura, in lontananza appare la piramide ferrigna dell'isola e del Monte. Poi, non appena il pendio decresce la mole scompare e gli occhi non trovano pace.

Il monte non riemerge dalla leggera e giallognola foschia creata dal sole albeggiante fino a quando arriviamo al grande parcheggio, a quest'ora ancora vuoto. Siamo tra i primi visitatori in questa ancor plumbea giornata d'agosto, ma a conti fatti, questa celerità mattutina si rivelerà la nostra salvezza.


L'avvicinamento all'isola avviene con dei bus navetta e le mie speranze di poterlo fare a piedi, tra le sabbie della baia con la bassa marea, svanisce ancor prima di nascere. È la prima delusione della giornata. Ma la vista ravvicinata della rupe medievale e la guglia della cattedrale svettante in un cielo di acciaio tra acque di cobalto non deludono e stemperano le mie frustrazioni.
Con Marzia prendo un percorso a quest'ora poco frequentato, lungo le possenti mura dei bastioni sul mare. Piano piano, senza folla e senza chiasso, in ripida ascesa ci avviciniamo all'ingresso della basilica da dove inizia la vera scalata verso l'apice celestiale. Da lassù la spianata parzialmente sommersa, il mare con piccole onde biancastre ed una linea costiera indefinita rendono irreale, metafisico quasi, un paesaggio senza prospettive.
Abbandoniamo la guida e ci lasciamo andare, senza tracce e senza mappe, tra sale immense ed angusti corridoi e ripidi gradini e balconate sul vuoto in un labirinto di pietra in attesa dell'unica via di scampo. Incredibile, ma tutte le persone che visitano questa iconica basilica devono obbligatoriamente uscire utilizzando una stretta e disagevole scala a chiocciola, ovviamente medioevale, ovviamente pensata per far transitare pochi e silenziosi fraticelli.








Fuori il cielo ha un colore indefinito ed imploro i fraticelli affinché l’azzurro, che intravedo in lontananza oltre i tetti, riesca a prevalere e farsi strada. Scendiamo, con grandissima difficoltà, lungo la stradina principale tra i negozi di souvenir, mentre le orde barbare stanno attaccando il borgo ed assalendo le pendici murate del santuario. La folla è compatta, inamovibile ed incerchiabile. Pare di essere a San Marino in un giorno di festa. Seconda delusione.
Il cielo si apre ed alcuni raggi di sole ci accompagnano mentre lasciano Mont Saint-Michel diretti a Saint Malò. A Saint Malò un nubifragio implacabile sommerge le nostre speranze. Ho il tempo di affrontare e subire la furia degli elementi oltre le possenti mura, anche ora che il mare è lontano, mentre mi vengono in mente le immagini, vivide e reali, di altissime onde di tempesta che scavalcano i muraglioni per infrangersi poderose sulle facciate in pietra delle case di fronte all'oceano.



Troviamo rifugio in un piacevole ristorante stile anni Trenta dagli alti soffitti con ampie specchiature dorate. Il cibo servito è tradizionale e molto buono, in particolare le dolcissime e tenere cozze bollite e cucinate nel burro. Meno gradito, almeno per quanto mi riguarda, il sidro, tipica bevanda a base di mele fermentate con cui ho accompagnato le pietanze.
Il mattino seguente partiamo da Brest verso Quimper percorrendo un'incantevole strada costiera, attraversando ponti su piccole baie, fiumi, rapide, anse vorticose e placidi estuari.
Sono attratto dalle caratteristiche abitazioni, sia bretoni che normanne, in ardesia grigia con tetti spioventi e strani alti muretti alle due estremità della linea di colmo. Si sprecano le nostre ipotesi: i due tramezzi sono ciò che rimane di vecchi camini, basi per nidi di cicogna, atavici ornamenti senza uno scopo preciso, postazioni per l'osservazione della campagna o per le riparazioni del tetto. Solo Gilles è in grado di svelare l'arcano: si tratta di barriere frangivento, poste ai due lati del colmo di copertura, per deviare o rallentare le raffiche di vento, molto frequenti in questi luoghi, talmente violente da spazzare completamente la copertura di paglia un tempo largamente utilizzata.
Ora i tetti sono in ardesia ma i muretti sono rimasti e, per rispettare usi e tradizioni e conservare anche una certa gradevolezza estetica, vengono ancora costruiti nelle nuove case alle estremità delle audaci pendenze.


Una breve sosta nella tranquilla cittadina di Quimper, un tempo capitale della Cornovaglia francese, ora punto strategico per chi, come noi, intende compiere il periplo della Bretagna e raggiungere la “misteriosa” Carnac. Un luogo non luogo, un anfiteatro da saga celtica che, oltre ad essere un sito preistorico di fama mondiale, alla stregua di Stonehenge, è anche una rinomata località turistica con un lungo litorale oceanico dove, con mia grande sorpresa, scopriamo un minuscolo locale, praticamente una baracca nascosta tra enormi massi oltre il limite della marea, che offre ad un prezzo assolutamente irrisorio succulente ostriche bretoni.



È tempo di raggiungere la Carnac dei megaliti.
Immersa nella vegetazione, oltre una siepe dietro ad una grande casa con le imposte verdi, accanto ad una improbabile focacceria (creperie), si apre una radura allucinante. Talmente inverosimile da sembrare aliena. Anche il cielo mi confonde occupando uno spazio con quattro orizzonti speculari, con bianche e grasse nuvole africane. I mille menhir (in bretone antico men pietra, hir lunga) mi sembrano appunto mille nidi di termiti sparsi nella savana africana. Termitai inanimati di granito squadrato conficcati nel terreno oltre 6000 anni fa.
Anche in questo caso non mi dilungo in dettagli storici in ipotesi e miti, informazioni copiose e facilmente reperibili in internet. Personalmente questi campi cosparsi di scogli come ciclopiche pietre lanciate da Polifemo nel mare di Aci Trezza, questi prati appuntiti a frenare un assedio di mille cavalieri, mi hanno trasmesso una grande tranquillità, un senso di quiete interiore quasi un sonno delle quotidiane eccitazioni.






Passeremo la notte a Nantes. Il percorso continua a regalare scorci paesaggistici per me inconsueti, ancora ponti e fiumi di sabbia in attesa delle maree, profonde insenature ed allevamenti di ostriche. Rapito dal panorama mi dimentico di Vannes e quando ci fermiamo sono quasi costretto a riprendere coscienza e consapevolezza spaziale. Anche Vannes come Dinan è una scoperta inattesa e per questo, anche per questo, talmente sorprendente da lasciarmi senza parole.

La cittadina è assai bella, quasi raffinata, con grandiosi e curatissimi giardini e mura possenti a protezione del centro storico d'impianto medievale. Non è lontana dal mare aperto, in un punto dove le maree raggiungono i quattro metri e una stretta fenditura marina entra nel cuore della città lasciando spazio ad un piccolo e pittoresco porticciolo.
Vannes induce il visitatore ad un tenero ed inconscio languore ed ancora una volta, sotto un cielo francese (quello degli impressionisti che dipingevano all'aria aperta "en plain air") l’aria è profumata mentre spira un leggero venticello proveniente dall'oceano, talmente soave e gentile da sembrare una brezza mediterranea.







L'indomani il comandante volge la prua verso Sud. La meta finale odierna è ancora Macon, la graziosa cittadina sulla riva della Saone dove ci siamo fermati il primo giorno di viaggio.
La strada è lunga e Tours, ormai oltre i confini bretoni, è un ottimo approdo intermedio.
Tours è una città importante, fondamentale per la cultura e la storia francese, ma per me solo un nome banalmente evocativo da associare, con ingiustificabile ignoranza, al Tour de France (che non c'entra proprio per nulla) piuttosto che ad accadimenti storici in essa avvenuti e da me ignorati, tra i quali la proclamazione a capitale di Francia avvenuta nel 1416 su volere del re Luigi XI.
La caratteristica che più mi colpito di questa città è l'assetto urbano singolare se non addirittura squilibrato dove, il nucleo medioevale, piccolo ma caratteristico con alcune case a graticcio tra le più antiche di Francia, è relativamente lontano dalla "solita" maestosa cattedrale gotica, questa volta non dedicata a Notre-Dame bensì a Saint-Gatien e dove, un largo viale lastricato e privo di alberature, diparte dalle colline oltre il ponte sulla Loira, attraversa la città creando una specie di spartiacque tra due settori molto simili ed architettonicamente indivisibili. È proprio la Loira che maggiormente attrae la mia curiosità e dal ponte il mio sguardo cerca, tra le dolci colline, i famosi castelli, le sontuose fontane ed i mirabili giardini. Ma quello che oggi non vedo è solo rimandato.






Poi ancora in viaggio, tra alture punteggiate da piccoli boschi, lontani castelli ed estesi vigneti della Borgogna. Fino a Macon.
Fino alla maestosa ed imponente corona delle Alpi, verso il confine con il nostro paese.
Ora che il viaggio è terminato ed il tunnel del Monte Bianco è una vertigine verso sud, verso paesi conosciuti, arroventati da un sole cocente penso e rivedo l'Oceano Francese, un mare non più grigio ma blu profondo, finalmente vicino, meno cupo e con tante storie, non solo tragiche, da raccontare. Tornano alla mente senza una precisa cronologia immagini e sensazioni quasi confuse ma distaccate, percettibili sebbene repentine, belle e sfumate, indimenticabili ma non fatali, un fiume di ricordi sovrapponibili di un viaggio importante e tortuoso, geograficamente e storicamente, tra paesi, fiumi, scogliere, cattedrali e popoli antichi ed insigni.
Accanto a me Mademoiselle Rouge ed il buon Comandante Fede sembrano felici, lo siamo anche noi mentre un improvvisato e “insignificante raccontastorie” riempie lo spazio di un viaggio mai interrotto.
Ah dimenticavo la favolosa Tours...
È stata anche capitale di Francia e teatro di 1000 storie e battaglie affascinanti a partire dal 700 dc.
Mi piacerebbe vederla e il tuo racconto mi stuzzicato ulteriormente...
👍👋
Fabio Bozzy
Che bel viaggio!
E che bella narrazione dal nostro "Piero Angela de Noventa".
E finalmente vedo anche delle belle e numerose foto che ci rendono maggiormente partecipi della tua bella avventura.
Grazie Gigi...
Restiamo in attesa del prossimo viaggio.
Cari saluti
Fabio Bozzy Bozzao