FROM SEQUOIA TO MOJAVE
- Luigi Perissinotto

- Jun 4, 2023
- 3 min read
Updated: Jun 6, 2023
05 Giugno 2023
Smontiamo la tenda dopo una notte perfetta e alle 7 siamo pronti per la visita di una parte, purtroppo limitata, del Parco. I visitatori sono numerosi e i posti per il campeggio lo sono altrettanto, ma sono molto ampi, praticamente un mezzo ettaro a testa. Quasi tutti i viaggiatori hanno camper e strutture semovibili super accessoriate, probabilmente anche con la Jacuzzi, tranne alcuni, come noi, in tenda. Credo sia questo il motivo per cui non ci siano lavandini a disposizione degli ospiti (normali). Per la faccia e i denti ci arrangiamo con l'acqua della nostra tanica.
Dobbiamo purtroppo usare l'auto perché le distanze, anche all'interno del parco, sono nello standard americano: sconfinate. Mi guardo attorno, ieri sera ero un tantino stanco, e noto solo ora che la vegetazione è incredibilmente devastata e sofferente, contorta quasi distrutta. Gli alberi, le sequoie sono bruciate, spezzate e divelte per chilometri e lungo tutte le pendici fin dove arriva il mo sguardo e oltre. Il fuoco e la neve, che ancora troviamo in alcuni tratti a lato della strada, hanno creato questo infernale groviglio di tronchi anneriti, spaccati, buttati a terra da una forza spaventosa e lasciati marcire lentamente. Credo comunque che anche l'uomo abbia fatto la sua parte per arrivare a questo caos. Tra le altre cose non capisco (anzi lo capisco benissimo) come mai sia consentito accendere il fuoco a fiamma libera all'interno del parco e accanto alla tenda.
È doverosa una piccola disgressione: gli americani, almeno per quanto ho visto sinora, non fanno una efficace raccolta differenziata, consumano imballi per ogni inezia (dal caffè al catamarano che ho visto passare incartato e cellofanato), utilizzano il territorio in modo intensivo ovvero indisciplinato, oppure in maniera del tutto arbitraria e irragionevole, come qui, all'Interno di un parco naturale dove hanno ben pensato di allestire un giardino con erba artificiale in plastica!
La visita del Parco è veloce ma intensa. Al lago di Hume a 6000 feet di altitudine (duemila metri), incastonato in una valle laterale tra boschi immensi a perdita d'occhio e di comprensione, c'è troppa gente e un gruppo incredibile di partecipanti ad un "qualcosa" di religioso del tipo Scientology. Scappiamo subito altrove.
Il percorso per arrivare al celebre General Grant Tree è da perdere i sensi. L'albero più piccolo, che nemmeno fotografo, potrebbe avere mille anni. Il General Grant ne ha quattromila! Lo tocco (non si potrebbe) lo annuso gli parlo. Guardo le sue radici e alcune parti interne bruciate da un fuoco di duemila anni orsono. Alzo gli occhi per vedere la parte apicale. Ovviamente non ci arrivo fin lassù, a oltre ottanta metri. Niente da fare! La natura non solo mi sovrasta, mi annichilisce e mi lascia senza fiato. Senza parlare, se non ci fosse da raccontare.
Lasciamo il Sequoia diretti a Sud Est, forse ovest. Non lo so bene, ma di certo dobbiamo attraversare il deserto del Mojave. La discesa dal Sequoia e dalle sue nevi è vertiginosa e in poche (si fa per dire) miglia siamo in una pianura assolata dove le strade sono prive di curve. Ad un certo punto anche gli alberi più piccoli scompaiono. Al loro posto inizio a vedere strani arbusti spinosi e strane nebbie in lontananza. E alcuni pozzi petroliferi.
La strada, la Route 58, da Visalia passando per Mojave fino a Barstow, dove incrocia la mitica Route 66, è una immersione totale nel mito. E il mio viaggio diventa "On the Road" fino allo stordimento. La strada è un taglio netto nel deserto, passiamo accanto alla base aeroporto di Edwards dove sono atterrati gli Shuttle della Nasa, accanto ai depositi a cielo aperto di aerei dismessi, alcuni degli anni sessanta e forse anche più vecchi, ma il sito è talmente vasto che non riusciamo a vederne la fine.
Dopo la città di Mojave, attorniata da migliaia di pale eoliche, non ci sono insediamenti per centinaia di miglia. Solo deserto e nuvole di sabbia (dust storms) e sporadiche baracche con accanto ammassi di vecchie auto e altri veicoli non identificati. Ci siamo fermati per alcune foto, il vento caldo era un muro invalicabile e non ho potuto proseguire oltre, il cielo un mare senza orizzonte e senza verticalità, il non paesaggio la sublimazione degli elementi, il terreno un suolo arido, vibrante di energia e cosparso di tumble weeds (i rovi rotolanti di tanti film western).
Probabilmente le foto non renderanno, come al solito e come è comprensibile, le sensazioni vissute con tanta corporea e materica partecipazione. Dopo oltre 500 miglia arriviamo al nostro Campground a North Yermo. Dietro la nostra tenda, dietro una palizzata frangivento, il deserto del Mojave mi inquieta e mi affascina.


























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