GROTTE DI SAN CANZIANO - LAGHI DI PLITVICE - SETTEMBRE 2023
- Luigi Perissinotto
- Sep 7, 2023
- 7 min read
Updated: Sep 16, 2024
3-5 settembre 23
7 settembre 2023
Praticamente è dietro casa ed è la porta dell'inferno! Detto così sembra quasi il prologo di un film horror. E' a soli venti chilometri a nord-est di Trieste, in mezzo ai boschi sloveni, tra il profumo di pino silvestre mischiato a quello proveniente dal mare e sotto un cielo azzurro... potrebbe essere anche la porta del paradiso. Ma non lo è! Inizialmente potrebbe anche sembrare, ma subito gli inferi prendono il sopravvento.
A San Canziano (Skocjanske Jame) il nostro gruppo di "intrepidi" viaggiatori entra in un tunnel scavato nella fredda roccia, un basso ed angusto cunicolo che penetra claustrofobico nelle viscere della terra, nelle tenebre dei sensi e nel silenzio del nostro inconscio. Alla fine del budello è come essere al centro della terra e quello che abbiamo sotto i piedi e tutto ciò che abbiamo sopra la nostra testa potrebbe essere, anzi è, il nostro remoto e il nostro futuro. Di certo non sembra la nostra quotidianità. Non siamo abituati alle tenebre.
Fortunatamente ci sono piccole luci ad indicare il cammino da seguire. Inizialmente l'inferno non si palesa e dissimula le proprie forme dietro coltri e sipari quasi immacolati, grandiosi imponenti e fiabeschi. Grandi torri bianche, cascate di latte e velature impalpabili. Concrezioni di carbonato di calcio bianche, brune e grigie, talvolta di un colore indefinibile, quasi opalino. Tripudi di pietre e di pinnacoli dalla volta e dal suolo. E viceversa, perché il soffitto potrebbe anche essere il sottosopra di una nostra percezione alterata dal "disordine". Ci salva solo la luce artificiale, un sentiero protetto e la gravitazione universale.
Attraversiamo come lillipuziani due enormi caverne, due buchi nella groviera primordiale e l'anticamera dell'inferno, dopo una sommità tenebrosa, lascia posto alla voragine dell'aldilà. Il silenzio abbandona il nostro incedere ed il caos il rumore, la bruma e la notte scomposta avvolge ed assale i nostri corpi. "Lasciate ogni speranza voi che entrate" ci rammenta il poeta e, in questo frangente, credo anche il nostro subconscio.
Quello che avviene dopo, oltre, dentro la notte creata dalla voragine è spettacolare ed è fantastico. Non è affatto pauroso è semplicemente straordinario! Un enorme canyon buio, senza pareti e senza soffitto, solo oscurità. Piccole luci ad indicare il cammino e un abisso di oltre 150 metri fino alle acque tumultuose ed invisibili di un fiume sotterraneo. Non c'è inizio e non c'è fine, solo noi aggrappati alle pareti verso il centro della terra. Nel mezzo del profondo anfratto un ponte sospeso sulle acque del Timavo congiunge due sponde senza approdi e con la mente ottenebrata intravediamo, in basso tra le acque, il demone Caronte traghettatore di anime.
Infine, una risalita tra scale viscide ed infinite verso la luce. Un flebile chiarore che la buona sorte imprime, dardeggiante, contro le pareti più alte. "E quindi uscimmo a rivedere le stelle".
Non era affatto un antro infernale, ma un paradiso dell'oscurità! In ogni caso tiriamo un energico sospiro per il ritorno alla vita. Ora siamo sul fondo di una grande e tormentata dolina carsica, che non devasta il territorio, lo esalta rendendo accessibile l'irraggiungibile mentre, la nostra scalata verso la salvezza, verso la piana boschiva su in alto, è una istintiva naturale ricerca di luce materica ed interiore.
Raggiunto il leggero declivio dove sorge l'abitato lasciamo subito le porte dell'ingannevole averno per intraprendere il viaggio verso il suo opposto. Verso un Eden lussureggiante di limpide acque, di ninfe dei boschi e di trasognati labirinti tra le selve circostanti.
Strade strette, poche auto, prati e foreste e filari di platani. Saliscendi leggeri tra le dolci curvature del percorso, borghi di poche case, fattorie isolate, gostline (trattorie) con lo spiedo nel cortile, tavoli da picnic, pulizia e un senso di partecipazione paesana ovunque. In questo mondo antico e in questo modo gentile attraversiamo un pezzetto d'Istria interna, verso Fiume in Croazia.
Il confine tra i due paesi è confuso tra leggeri valichi e scure colline. In lontananza qualche monte è un po' più alto, ma tutto sembra raggiungibile ed irraggiungibile nello stesso tempo. Boschi, doline, gole ed anfratti sembrano celare animali ed esseri fiabeschi e funghi e tartufi e cordiali boscaioli in sintonia con un ecosistema che li nasconde e protegge.
La fermata obbligatoria alla frontiera è paradossale, ma dobbiamo ricordarci le tensioni che hanno sconvolto, a partire dal 1992, questi territori e queste genti. Ora proseguiamo tranquilli in un paesaggio che non cambia come non sembrano cambiare le persone, il clima il cibo e poco fors'anche la lingua. Ma non lo so di preciso perché nella mia ignoranza, sloveno croato e serbo sono, alle mie orecchie, ancora e solo un idioma slavo parlato nella ex Yugoslavia della mia gioventù.
La strada scende e il colore del cielo diventa azzurrino quasi grigio fino a confondersi con il mare, con le isole del golfo del Quarnaro, non lontane, ma ugualmente eteree e con il muro imponente del Velebit da dove precipita il vento di bora. Poi i palazzoni di Fiume interrompono la visuale, le gallerie la negano ed i viadotti la esaltano, ma agli occhi la bellezza, anche quella deturpata dagli uomini, non basta mai.
All'improvviso lasciamo la costa, abbandoniamo gli azzurri, perforiamo la roccia ed entriamo nella terra degli orsi... che abbiamo incontrato, liberi o soggiogati, oltre 40 anni fa durante un epico ed interminabile viaggio a bordo della mia Citroen Dyane. Azzurra, di colore, azzurra di gioventù. Ci saranno ancora gli orsi e ci saranno di sicuro anche i lupi. Questo territorio evoca entrambi ed altri animali ancora, sciacalli e linci, ed altre specie selvatiche e selvagge. Per chilometri non ci sono case e non si vedono esseri umani. Solo selva bassa ed impenetrabile. Ancora una galleria e perdiamo definitivamente il mare Adriatico e le sue Isole. Dopo la galleria anche la vegetazione cambia e i lecci lasciano il posto agli abeti, ai carpini, alle betulle ed alle casupole rosse sparpagliate come sporadici funghi tra fronde rigogliose o in radure improvvise.
La Croazia è costa è mare ed è isole, ma è anche montagna impervia. Noi in questa montagna dobbiamo entrarci e scoprire altre valli, altri profili e le sue mitiche acque dalle mille braccia e dalle mille dita ad incidere e solcare il terreno.
Lasciamo l'autostrada e attraversiamo una grande piana colpita dagli obliqui raggi di un sole pomeridiano che altera dimensioni e profondità. La pianura è ora punteggiata da case e casupole, alcune molto semplici se non addirittura misere. Nessuna però è sforacchiata dai proiettili della guerra come lo erano solo pochi anni orsono. Molte sono state abbattute e altrettante riparate. Non contenti abbandoniamo anche la strada principale per prendere una meravigliosa stradina che, dalle dimensioni, sembrerebbe solo ciclabile, ma che facciamo in corriera. Il tragitto è memorabile e con il sole alle spalle è addirittura fiabesco, in un ambiente incontaminato dove l'insediamento umano è pressoché inesistente.
La strada è piuttosto lunga e molto tortuosa, con le curve incatenate le une con le altre. Siamo nel cuore del Paese, protetti dal Velebit con le suggestioni e le contraddizioni della terra Dalmata, della cultura slava e, senza via di scampo, con le ombre turche in lontananza. Anche qui, in questo posto remoto e quasi disabitato, è passata la guerra fratricida.
Siamo finalmente giunti a Rastoke nei pressi dei Laghi di Plitvice e luogo di pernottamento. Il mattino seguente, il tragitto, fino al parco nazionale, dal 1979 patrimonio Unesco dell'umanità è breve ed è piacevole, percorrendo l'unica strada possibile, tra i monti selvaggi e disabitati di questa regione. La giornata è stupenda con i colori i profumi e l'atmosfera quasi autunnale. È la quarta volta che passo da queste parti e lo stupore davanti a questi territori ancestrali è sempre lo stesso, ovvero si accresce. Siamo nel mezzo della regione croata a pochi chilometri dal confine con la Bosnia ed Erzegovina e oggi, finalmente, la pace sembra palese e si manifesta anche in ogni anfratto in ogni scorcio in ogni albero ed in tutte le acque gorgoglianti. Sembra impossibile che fino a pochi anni fa qui un fratello uccidesse un proprio fratello senza nemmeno saperne il motivo. Per atavici odi religiosi per condizionamenti nocivi, per fini malefici da tutti, a parole ripudiati, da molti con la violenza perseguiti.
La nostra gentile guida, forse croata forse bosniaca forse timorosa, ci conferma che lei stessa ancora non capisce il motivo di tanto odio. Ma questa affermazione può essere l’evidente dimostrazione che l'odio, indiscutibilmente, nasce dalla non conoscenza. Fortunatamente camminare in questo paradiso terrestre è liberatorio e le ansie ed i cattivi pensieri non trovano spazio per radicarsi. Chi percorre le passerelle ed i ponticelli in legno di Plitvice potrà percepire la potenza e la gentilezza della natura fondersi assieme. È come essere in un cielo terracqueo dove i laghetti e le pozze sono nuvole e noi uccelli liberi di svolazzare tra di esse senza rotte e senza destinazione.
Non è questo il luogo per descrivere la morfologia, le caratteristiche, le peculiarità, le criticità o le fragilità di Plitvice. Sarebbe noioso. Sarebbe sempre una descrizione incompleta, carente e soggettiva. Mi vengono solo in mente le prime due righe del grande poeta Nazim Hikmet "Il più bello dei mari è quello che non navigammo..." Il resto: il viaggio, la bellezza, gli infiniti oceani, i mari sconosciuti, le onde impetuose, come al solito, sono dentro ognuno di noi.
Ci fermiamo, prima di rientrare in albergo, in un angolo del paese di Rastoke, in un suggestivo borghetto sulle acque del fiume Korana che si forma a valle dei laghi di Plitvice. Ma è una mezza delusione. L'ingresso è malamente segnalato e, nonostante le chiare e fresche acque e le risorgive e le fontanelle e le cascatelle idilliache, la mano dell'uomo è stata piuttosto invasiva cancellando la spontaneità delle opere umane e minando la gradevolezza di quelle naturali. Cancellando i vecchi mulini, rimaneggiando tetti ed imposte, lastricando sentieri e cortili. Alla fine, solo lo sguardo dall'alto, lungo la strada principale, ci riconcilia con la bellezza del luogo e qualcuno/a di noi vede persino aggirarsi pastorelle con i vestiti tradizionali e con le ochette al seguito e i suonatori di zufolo... ma è solo un po' di stanchezza e tanta immaginazione.






















Grazie Gigi
Fabio B
Amazing...
Il Bozzy
Grazie Valter. Mi piacerebbe rifare questo viaggio con voi.
Posti meravigliosa!