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NON SOLO VINO - ARFANTA-VALDOBBIADENE

  • Writer: Luigi Perissinotto
    Luigi Perissinotto
  • Apr 16, 2024
  • 9 min read
18 Aprile 2024

È un piccolo viaggio. Da casa verso casa. Da fare in una giornata di sole, in Dyane o in Lambretta ma anche in bici, meglio se con pedalata assistita. Un piccolo itinerario alla scoperta di “poco” perché siamo nomadi e curiosi anche sull’uscio di casa.

 

Quando, in una giornata limpida, attraversi il fiume a Maserada e volgi lo sguardo verso nord, verso i monti, non hai sbagliato nel ritenerti in un luogo carico di bellezza!

 

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La Piave, vecchio corso

Il viadotto sembra interminabile, ad un certo punto non è ponte ma passaggio fluviale di una diligenza in mezzo alle "rapide", ridiventa ponte prima di affrontare la dolce campagna trevigiana.

Il lungo rettifilo, a tratti sospeso su arcate di cemento, a tratti piatto e disteso sull’aspra grava, non scavalca il fiume ma pietre levigate, non acque ma ghiaie.

 

Le grave di Papadopoli, dal nome di una ricca famiglia veneziana, praticamente un'isola formata da due rami della Piave esondata in epoche remote, sono delle estese cave a cielo aperto, lussureggianti e assurdamente galleggianti sopra laghi sotterranei. L'acqua del fiume scorre sotto i grossi ciottoli, in profondità, ed affiora in mille fontanili nelle aie di vecchie case in mattoni di fornace, consumati dalle intemperie, tra fienili e stalle diventate agriturismo.

La grava è anche una miniera di sassi e di vino. Sassi e uva, entrambi per il frantoio, entrambi da spremere per il sostentamento, ieri come oggi, della maggior parte delle famiglie di queste contrade.


Antichi filari con gelsi

 

Le piante dell'uva affondano le radici in poca terra e tanto minerale ed il vino sembra mescolato con fresco minerale liquefatto, estratto dalla roccia e dalla fatica. Potrebbe essere raboso color rubino, il vino "nero" dei nonni, duro aspro profumato di galaverna e versato dall'oste in un “goto” basso dal bordo spesso e grossolano, o chiarissimo raboso diventato frizzante per inseguire le mode al banco del vinattiere in calici di sottile cristallo.

 

I filari di viti corrono accanto alla strada verso le prime alture boscate del Montello. Vitigni alti, un tempo sorretti da alberi di gelso, intrecciati di ferro per sorreggere vasti pergolati come ali di farfalle, scenografici e lussureggianti un po' “fuori moda”. Sono vigneti “messi in piedi” con il metodo a “bellussera” (dal nome dei fratelli Bellussi di Tezze di Piave che lo inventarono a fine ‘800) e destinati a scomparire; troppo lavoro, troppa produzione, solo per romantici e coraggiosi contadini in attesa che il raboso diventi il prosecco nero della Piave.

 

La campagna ora diventa ondulata, solcata da rivoli limpidi e veloci e qualche fosso di “gaggie”, oppio (acero campestre) e profumato sambuco. Le viti, adesso, sono basse ovunque, “messe in riga” per le moderne macchine agricole, dispositivi con mille tentacoli in grado di compiere tutte le lavorazioni, dalla vendemmia alla potatura. Dall'uva al conto in banca, dalla botte di castagno alla cisterna in acciaio, dal sottoscala umido e buio alla cantina griffata.

 


Lasciamo il Montello alla nostra sinistra ed infiliamo le prime lievi serpentine tra le dolci colline in direzione di Follina. Dopo Pieve di Soligo il paradiso diventa terrestre. Il nome della piccola valle è già un biglietto da visita che non lascia dubbi: Valsana, località La Bella, snodo e crocevia di tutte le scorribande tra le colline del Prosecco. A destra, verso Rolle e Arfanta di Tarzo fino alla pianura, fino a Conegliano. A sinistra verso Miane, Combai per arrivare a Valdobbiadene. Proseguendo dritti, verso Follina, Cison di Valmarino e il passo San Boldo. Le Prealpi, i Monti del Sole e l’infinito alpino.

 

Troppe suggestioni, troppi campanili, osterie, balconi sopra villaggi di vecchi coppi e comignoli, tornanti di strade strette, pali contorti di viti antiche, alberi solitari sul crinale verso il tramonto, case di mattoni abbandonate tra i vigneti, cancelli sbilenchi di legno e troppi ricordi di una terra cambiata.

Provo a condensare le emozioni in un tragitto tra anima e corpo, tra passi veloci e crudele immobilità. Premetto subito che sarà un viaggio veloce, a volo d'uccello, senza tempo per gli approfondimenti, senza storia, senza cultura e senza iconografia se non quella degli innumerevoli vagabondaggi.



Subito volgiamo in direzione di Arfanta di Tarzo; prima di arrivare al piccolo borgo, attraversiamo l'ormai iconica "ansa" di Rolle. Un angolo, un gomito tra i vigneti con una profonda vertigine su altri vigneti più in basso. Una chiesa due case un'osteria e alcune importanti e rinomate cantine che nell'insieme, natura e “sopportabile” ingerenza umana, danno forma ad un quadro spettacolare, diventato simbolo usurato delle fin troppo menzionate, fotografate e raccontate "Colline del Prosecco".

 

Rolle

Lasciamo Rolle ai turisti ed in mezzo a tornanti e saliscendi, cascatelle di inconcepibile vivacità e minuscoli borghi in lontananza, arriviamo ad Arfanta.

Già il nome della piccola frazione è suggestivo e richiama alla mia mente storie antiche di fate maghi e folletti del bosco.

Dal precipizio oltre una curva, oltre una piccola collina di viti e al di là di un basso crinale si scorge, accanto alla grigia Torre campanaria in pietra, la semplice e chiara facciata, dell'incantevole chiesetta di Arfanta. All'interno di questo piccolo scrigno della devozione, dedicato a San Bartolomeo (le chiavi per entrare si trovano presso la canonica della vicina frazione di Resera) troviamo, con lo stupore di un fanciullo al cospetto di un dono inatteso, una magnifica pala d'altare di Francesco da Milano raffigurante La Madonna con il bambino fra San Bartolomeo e altri Santi.

In questa chiesa, piccola notazione del tutto personale, mi sono sposato. Avrò modo, un giorno, di raccontare…

A pochi passi dalla chiesa la trattoria da Tullio è un buon posto per gustare e apprezzare il “leggendario” spiedo trevigiano accanto al grande “fogolar” con una vista strepitosa sulla pianura fin quasi al mare. Sempre ad Arfanta, con la chiesa assisa in uno scranno a cardine del borgo, dietro di essa in breve discesa è possibile raggiungere l'agriturismo Mondragon presidio slow food con piatti tipici e nostrani a base di carne d'oca.


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Arfanta di Tarzo

Scendiamo, in pochi agili tornati e, sul filo di uno spartiacque improvviso con un tuffo nel verde, rasentiamo Tarzo per raggiungere Revine Lago. Incantevole borgo di pietra aggrappato alle pendici verticali del Col Visentin sotto il Pian de le Femene, pianoro prativo da cui si gode un panorama mozzafiato sui laghi dalle acque scure e sul Montello, in lontananza, oltre le nuvole azzurrine.


Da Revine la strada, quasi un rettifilo lungo la bella vallata delle Prealpi Trevigiane, lambisce boschi di castagno, farnie e noccioli, fino allo svincolo per Tovena e per il passo di San Boldo. La notevolissima e ardita strada merita una deviazione e i 18 tornanti, di cui cinque in galleria, come d'incanto conducono alla sommità, aperta verso la Valbelluna, verso le dolomiti e oltre, e dove vale la pena fare una breve sosta, tonificante sotto tutti i punti di vista, all'osteria La Muda, la più antica del Veneto.


Riprendiamo i tornanti a ritroso e lasciamo Tovena per proseguire verso Cison di Valmarino. Il paese, uno dei Borghi più belli d'Italia, ci accoglie sulla destra con l'incombente baluardo di Castelbrando alto su di un colle a dominare il villaggio e la vallata sottostante.

A Cison è sufficiente passeggiare tra gli antichi e nobili palazzi o lungo i sentieri tra i boschi (oltre il Ponte dei Sassi sulla via dell'acqua fino al Bosco delle Penne Mozze) per assaporare la piacevolezza dei luoghi, la mitezza dell'ambiente e l'armonia del paesaggio. Anche in questo caso vale la pena una piccola deviazione nella vicina e altrettanto pittoresca Valmareno, all'ombra della mole di Castelbrando, per un caffè o per un semplice e rustico pasto a base di prodotti locali all’Osteria A la Beccasse.



Castelbrando


Cison di Valmarino, Ponte dei Sassi


Il dolce tragitto ci conduce alla vicinissima Follina, anch'essa tra i Borghi più belli d'Italia, con la sua Abbazia cistercense di Santa Maria risalente ai primi anni del 1100. Dopo la visita del chiostro si può fare una breve sosta alla vicina sorgente di Santa Scolastica dalle acque cristalline ed incontaminate dove è stata posta una targa con una frase, anche visivamente simbolica, del celebre poeta Andrea Zanzotto "si manifesta e sgorga acqua cruda di primavera". 


Dopo Follina la rinomata strada delle Colline del Prosecco incontra le prime grinze delle lievi e dolci alture verso Miane e verso Valdobbiadene.

È una staffilata di piacevolezza senza fine e senza pause. E con un inizio sorprendente. È il borgo di Combai, adagiato al preludio della rinomata dorsale che conduce, con amena leggiadria, fino alle propaggini del Grappa al di là della Piave, fino a Valdobbiadene e quindi verso Feltre.

 


Dall'alto, dal Santuario del Colle Ronch poggio privilegiato, verso Nord-Est lo sguardo ripercorre la vallata da Follina a Miane mentre, verso Sud, si apre il magico e ondulato profilo delle colline con i vigneti come trapunte ricamate, macchiato da borghi di tegole rosse, da snelli campanili e dai vecchi fienili tra le viti di Glera allineate, in un clamoroso saliscendi, come in una parata militare. Alle nostre spalle si distende, grandioso e rigoglioso, il ripido pendio che scende dal Monte Cesen e da Pianezze. Infine, dove l'orizzonte si apre, verso la piana della Piave, in lontananza, cattura lo sguardo la sinuosa verde e scura curvatura dell’onnipresente Montello.

Combai e anche il paese di un antico vino, il Verdisio (un vitigno autoctono antenato del prosecco), della festa dei marroni, ma anche e soprattutto di mille sentieri tra i boschi e tra le vigne dove smarrire la strada spesso equivale ad una lieta ripartenza.

Anche tra queste case di pietra e sassi non può mancare l’onnipresente fuoco acceso, tenuto vivo con legna di castagno per almeno 5-6 ore, ideale per servire uno spiedo profumato e succulento. Per il viandante ogni posto si equivale, la qualità è sempre elevata, e le osterie e le trattorie e gli agriturismi non mancano.



Lasciamo Combai. Il percorso, tra ampie curve, agevoli saliscendi e scenografiche aperture sulla vallata sottostante è oltremodo piacevole e sorprendentemente fluido. I filari di viti, la loro perfezione e il loro azzardo verticale tra le ripe scoscese, inducono spesso ad una sosta, anche ai bordi della carreggiata nelle piccole insenature tra i filari. Per una foto o semplicemente per un desiderio di incombente appagamento sensoriale. Fatto di profumi, di colori, di antichi sapori e pervaso da una quiete quasi irreale.



Ai lati della strada innumerevoli sono le indicazioni verso luoghi, piccoli appezzamenti di terra, spesso una piccola collina o una parte di essa, sovente menzionati accanto al nome del vino prosecco che qui ha trovato massima rinomanza e (purtroppo) massima espansione. 

I miei ricordi vanno a tempi non molto lontani quando percorrevo queste strade (con la mia Citroen Dyane azzurra) in mezzo a boschi e pochi magri vigneti. Quando i contadini con fatica portavano a casa un pezzo di pane e quasi mai grazie al vino, quando gli stessi contadini bussavano alla porta della canonica di Arfanta per un piatto di minestra. Quando tra queste contrade non risuonava il rumore dei tappi e il tintinnio di bicchieri era sommesso e riservato a pochi privilegiati estimatori. Quasi esploratori in un territorio vicino, ma semisconosciuto e depresso. Ora è diverso. Ora è patrimonio mondiale dell’umanità. Meglio? Peggio? Non lo so, so solo che mi mancano quei contadini!

 

Il panorama continua ad ammaliare il viaggiatore. I vitigni di piante contorte corrono accanto alla strada, salgono improvvisi verso le nuvole o sprofondano in voragini di trame incredibili. Si aprono in uno slargo davanti a cascinali, si serrano nelle sinuosità del pendio. Ogni tanto una carrareccia taglia il fianco della collina come un solco in mezzo al prato per arrivare ad una vecchia casupola, non abbandonata, anzi, ben restaurata e convertita in attraente e rustico locale. Come nel caso dell’Osteria senza Oste. Di cui non parlerò perché tanto è già stato scritto e detto.





Valdobbiadene non è lontana, con una breve deviazione, è possibile raggiungere la frazione di Col San Martino. Sebbene molto frequentata vale la pena visitare questo luogo rappresentativo, in particolare la Chiesa di San Vigilio e il Tempio di San Martino, che al pari di Rolle (che ho citato in precedenza) regala una eccezionale panoramica sui vigneti e sulle Colline del Prosecco ed è, forse, tra le vedute più belle di tutta la zona.

 


Siamo vicini alla nostra meta. Il campanile di Valdobbiadene, alto e possente, compare improvviso dopo una curva in leggera discesa. Ora la strada affianca notevoli e nobili palazzi e le viti hanno lasciato il posto a cantine e sofisticate mescite e vinerie.

In questi stessi luoghi, non molti anni fa, era possibile trovare ristoro e una bottiglia di vino (senza etichetta) direttamente dai contadini all’insegna di una Frasca, spesso accompagnata da una sgrammaticata indicazione; ne ricordo una fantastica: “cui vin bon e soppressa fata da mi co me pare” (citare il padre mi fece sorridere e commuovere nello stesso tempo). Era piacevole la frescura del pergolato, la sedia di paglia intrecciata ed il tavolino rotondo in alluminio (e il portacenere bruciacchiato con la scritta Cynar) e la lisa tovaglia a quadretti bianchi e rossi. E la faccia paonazza, un po' burbera ma sincera, del vignaiolo e il sapore fresco e morbido del suo vino.



Valdobbiadene è un paesotto tranquillo. Il traffico è accettabile e la gente sembra non aver fretta. In piazza verso sera, davanti alla chiesa, nelle osterie e nei bar, dopo le scorribande giornaliere tra i poggi coltivati è gradevole una piccola pausa per sorseggiare, finalmente, un calice di Prosecco. È piacevole anche l’atmosfera che si respira, rilassata, quasi paciosa. Quasi antica.

Con gli occhi della nostalgia mi pare quasi che il tempo adesso si sia fermato, in questo luogo non mi sento fuori posto, riesco persino a riconciliare i ricordi del passato e le tante contrastanti emozioni.

 


Il vino, un tempo fermo e profumato, è ora fresco e frizzante e per le strade non si vedano Dyane, Vespe o Lambrette, ma il “sapore” delle dolci colline non è svanito.  

 

 

5 Comments


Guest
Apr 20, 2024

Gigi, la tua narrazione è ancora una volta molto stimolante. E' un Invito ai miei sensi a visitare i posti che hai saputo descrivere così bene, mi era capitato solo con i romanzi di Dan Brown prima (vuole essere un complimento). Non mancherò di fare un giro ripercorrendo passo passo il tuo viaggio, e non solo per il prosecco e la soppressa....continua così.


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Guest
Apr 18, 2024

Bella descrizione, grazie Gigi.

Bei posti. Ades me beve na bea ombra de raboso. SÚ BOTÓI

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Luigi Perissinotto
Luigi Perissinotto
Apr 18, 2024
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Ciao Mauro. Grazie. Devo recuperare un testo che avevo scritto molto tempo fa adatto per SU BOTOI

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Guest
Apr 18, 2024

Bella narrazione...sembra di essere li con te. Posti che conosco poco ma che ora mi incuriosiscono grazie a te!

Mi riprometto di andarci.

Grazie Gigi per questa bella storia di viaggio.

Alla prossima...

Fabio Bozzy Bozzao

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Luigi Perissinotto
Luigi Perissinotto
Apr 18, 2024
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Ciao Fabio. Grazie Potrei anche accompagnarti. Cisa dici? gg

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