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STRADE DI CARTA

  • Writer: Luigi Perissinotto
    Luigi Perissinotto
  • Mar 28
  • 5 min read

Updated: Mar 29

28 Marzo 2025

Ho, da qualche parte in soffitta, un piccolo mappamondo di cartapesta malamente inclinato sull'asse terrestre. È solo un palloncino azzurrino screpolato. Poco più di un giocattolo, con il nome illeggibile degli stati, senza capitali e con vecchie frontiere contornate in neretto e fortemente marcate.

Quella malconcia sfera di carta era il mio passatempo preferito. La facevo girare sbilenca sul perno dell'Antartide per poi bloccarla con un dito.

Tenevo, per un paio di giri, gli occhi chiusi per accentuare la sorpresa per poi riaprirli fissando il punto casuale dove l'indice indugiava. Spesso una minuscola scheggia di azzurro in mezzo all'azzurro degli oceani. Per poi reiterare le rotazioni e toccare finalmente una terra sconosciuta e misteriosa. Uruguay o Nepal. Buthan o Rhodesia. E di quei paesi avrei voluto sapere tutto... mentre ancora non conoscevo nulla del mio!

 

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Chiedevo a mio padre e lui mi rispondeva che si trattava di paesi remoti, molto più lontani dell'Argentina... e dell'Argentina mi raccontava come avesse vissuto laggiù per anni anziché solo tre mesi, evitando il Nepal, ma non l'Uruguay che aveva visto dalla nave.

Stanco dell'Argentina e sprovvisto di Google map o di Wikipedia un giorno, a mio padre, chiesi categorico un atlante geografico.

Nessuno sapeva bene cosa fosse un atlante, nemmeno io e la mia richiesta non era altro che l'eco di una vivace ed enigmatica locandina appesa al chiosco del giornalaio.

L'atlante, il cui solo nome metteva in soggezione, non arrivò mai.  Arrivarono invece le prime cartine stradali. Ovviamente usate e solo del nord Italia. Mentre ancora fantasticavo sulle strade in mezzo alla foresta della Rhodesia o di quelle tra i ghiacciai del Nepal e il mio dito, sempre quello incerto del mappamondo, seguiva le strade gialle e quelle rosse bordate di verde tra i monti del Veneto e dell'Alto Adige. Quelle bordate di verde erano le strade panoramiche. Le mie preferite.

 


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Anche a scuola vi erano, appese alle pareti, attrazioni seducenti, presagi di grandi e solitarie fantasticherie che riuscivano a trasportarmi leggero attraverso oceani in tempesta ed oltre le vette dell’Himalaya.

Inizialmente carte geografiche dell'Italia moderna e di quella antica, in particolare del periodo feudale. Successivamente dell'Europa e finalmente del pianeta intero. E talvolta anche del sistema solare. Nell'insieme una perdizione totale!

 


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A casa continuavano i viaggi immaginifici con un nuovo mappamondo, leggermente più grande del precedente, portato da "Gesù Bambino" e con le nuove cartine stradali e le prime mappe fisiche e politiche degli stati. Quest’ultime con i paesi distinti da colori sgargianti, dove il verde dell’Italia mi sembrava verosimile come lo era il giallo per la Spagna.

Iniziarono anche le competizioni con mio fratello e con papà. In una serata di sfide vinsi, con grande clamore centrando al primo tentativo la capitale del Nepal, che in quel periodo era Rawalpindi.

Da quel momento le capitali e le bandiere divennero la mia specialità. Per non parlare dell'ubicazione geografica degli stati, dei loro fiumi e monti e delle città principali.

Ho iniziato a viaggiare tantissimo, ogni giorno ed in ogni luogo. Avevo dieci anni, conoscevo le isole Galapagos ma non ero mai stato a Venezia.

 

Gli anni aggravarono la situazione, continuavo a sognare uomini valicare le Alpi con elefanti più grandi delle montagne stesse, mercanti veneziani con cappello piumato in un caravanserraglio nel deserto, Magellano nel cuore di una tempesta australe… fino a che non mi ritrovai quindicenne.

A quell’età iniziai a viaggiare per davvero! Molto e più di tutti, ogni giorno e solo d'estate.

Purtroppo, alla sera dovevo rientrare a casa e le distanze raramente superavano i cento chilometri.

Imparai presto infinite località, centinaia di paesini altrettante frazioni, ponti su fiumi e canali, piazze e campanili, osterie e mille fermate dei pullman. Autobus, torpedoni e autocorriere, mezzi adibiti al trasporto pubblico per intenderci.

Il fattorino (bigliettaio) a bordo delle corriere FAP era il mio nuovo modo di guardare il mappamondo e dopo tanta immobilità non mi dispiaceva affatto.

 

Il dito indice si era fermato sull'uscio di casa, ma il viaggio divenne infinito, quasi avventuroso. Per cinque stagioni, durante le vacanze estive, imparai ad osservare quello che in pochi vedevano. Paesaggi piuttosto che paesi. Luoghi e persone, viaggiatori e lavoratori. Imparai a riconoscere posti per me esotici e sperduti a pochi metri da casa.

La tratta San Donà - Sacile ad esempio. Come un viaggio intorno al mondo, come un racconto di Chatwin. Malintrada, Motta, Meduna, Pasiano, Prata, Cecchini, Visinale, Brugnera, Tamai, ed altri paeselli ancora, fino a Sacile. E fermate intermedie in mezzo ai campi, vicino ad osterie, negli incroci di strade bianche ed altre soste all’interno di aie di grandi fattorie all'ombra di alberi di cicale. Racconterò (forse) un giorno di questi "incredibili" viaggi.


L'arrivo dell'automobile, una Citroen Dyane azzurra di seconda mano, nel cortile di casa al termine della naja cambiò un po' le cose. Fu un regalo ed una sorpresa di papà per me e per mio fratello.

L'auto era in comproprietà. Io mi occupavo della benzina, Roberto delle manutenzioni. Non sempre i fatti seguirono i patti. Racconterò (forse) un giorno anche di questo.

Con la Dyane e con la morosa accanto non era difficile osservare all'orizzonte il profilarsi di nuovi e altri campanili. Non lontanissimi ma spesso irraggiungibili.

C'erano troppe cose da fare, cose che credevamo e probabilmente lo erano, più utili e più importanti, ed i lunghi viaggi rimasero, purtroppo, sulla carta.

Non mi restava che cercare, come quand'ero bambino e con identico piacere tragitti, paesi, regioni, valichi e frontiere e strade da percorrere con un dito su mappe, dispiegate come lenzuola, sul tavolo di casa.

 

Il mio viaggio rimaneva e per molto tempo è rimasto, un percorso mentale dove sempre ho visto posti mai visti: pendici di colline scozzesi (Munro) toccare le sponde del lago Morto sul Fadalto, il deserto messicano in un terreno abbandonato in una torrida estate al Palù delle Sette Sorelle, una tessitura infinita di linee di Nazca tra i Magredi del Cellina.

Ho sognato e forse calcato gli "apici" del pianeta. Posti in cui vorrei essere, almeno per un giorno e una notte, per vedere, al mattino, cosa c'è oltre. Luoghi estremi dove la terra sembra finire: Capo Horn, la Kamchatka, Capo di Buona Speranza, o Nome in Alaska o Bluff in Nuova Zelanda.


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Patagonia, Siberia, Mongolia, Tasmania, Namibia, Bolivia... questi nomi, questi paesi ed altri ancora rimbalzano sempre nella mia testa e occhi fantastici, come quelli di Salgari in una Malesia mai toccata, vedono le mie orme perdersi, polverose, in strade non percorse. In strade che probabilmente non avrò tempo di calpestare.

 

Nel frattempo, ho compilato liste di luoghi da raggiungere, prossimi o remoti, più o meno selvaggi più o meno celebrati.

Nel frattempo, qualcosa ho fatto, piccoli e grandi viaggi senza parole! (le storie raccontate sono in questo blog) e altre piccole avventure si aggiungeranno.

Nel frattempo, si sono accatastate pile di cartine stradali complicate da leggere e da ripiegare. Ho fatto progetti e ho distrutto progetti. Ho anche scoperto le mappe virtuali. In esse ho tracciato sentieri e percorso itinerari mentali tanto sopraffini quanto irreali. Sono sempre arrivato a destinazione. Almeno credo. Magari per strade contorte, le più lunghe e le più belle. Mai le stesse e mai quelle consigliate. Mai quelle dritte.


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Infine, Comisso, con queste parole, ha tentato di convincermi che non serve tanto continuo viaggiare:

“Il posto mi riusciva bellissimo, pur essendo in pianura, isolato nel verde. ...le montagne sfumavano lontane, cineree come le colline dell'Occidente viste da Pechino, il fiume Zero fluiva lento e brunastro come i canali dell'Olanda, vi erano campi gialli di ravizzone come a primavera attorno a Sciangai, ciliegi in fiore come sulle montagne di Nikko e prati verdi e grassi come nei dintorni di Londra. ...Da queste osservazioni mi ero convinto che tutto il mondo può consistere in un metro quadrato...non era più necessario tanto continuo viaggiare, ma restare fermo in un punto, radicare e approfondire dentro di me.”


Nonostante la piacevolezza credo non ci sia riuscito!

4 Comments


Guest
Aug 12

Bellissima descrizione piena di sensazioni che diventano palpabile.

Bravo

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Guest
Aug 11

Caro Gigi, alias Mauro Corona... Ho letto con apprezzamento il racconto, ma non posso contenere in questo spazio ciò che penso e che vorrei dire... Mi viene in mente una citazione di Goethe che ho sempre portato nel cuore :"LE MONTAGNE SONO MAESTRE MUTE ED EDUCANO DISCEPOLI SILENZIOSI..." un abbraccio da un'altra che ha sempre amato la Montagna, anche quando sa essere aspra e dolce!

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Guest
Mar 30

Arcifantastico.......riferto al Narratore. Salutoni a Marzia (ed in subordine anche a Gigi!!!!).

Annamaria leggerà questa sera il racconto. (e poi ti riferirà).


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Guest
Mar 29

Complimenti per le tue parole rivelatrici che inseguono affettuosamente i ricordi e le immagini di vita. Roberto

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