top of page

REDENZIONE

  • Writer: Luigi Perissinotto
    Luigi Perissinotto
  • Jan 11
  • 5 min read

Updated: Jan 12

12 Gennaio 2025

Ero troppo alto per giocare a pallone. Ero anche troppo distratto o troppo buono o eccessivamente corretto per stare in difesa, perciò, finivo sempre in porta. E non mi piaceva affatto. Mentre i miei compagni, piccoli e veloci, segnavano e venivano festeggiati io ero sistematicamente insultato per i gol subiti.


Non poteva continuare in questo modo. Ma le alternative erano poche ed il gioco del pallone, sulla strada o sul nostro campetto inclinato sull'argine, era sempre il preferito da tutti.

 

Argine davanti casa
L'argine davanti casa

Io cercavo altre distrazioni, quelle adatte alle mie "incapacità": la fionda, ad esempio, che portavo sempre con me anche a scuola, o scagliare ciottoli, quelli non più grandi di una noce e ben affusolati, da una sponda all'altra della Piave, oppure la caccia alle lucertole (berebetole) con la cerbottana o ai pipistrelli (notoli) ingannati e disorientati con una nuvola di polvere, e l'hockey su strada, con mazze ricurve di bambù, non mi dispiaceva nemmeno giocare a nascondino ovvero nella versione un po' più articolata, composta da due fazioni contrapposte, che chiamavano "gobavegna", ma indubbiamente il mio preferito era il gioco della "pendoea" (lippa).

 

In questo gioco non serviva essere veloci, non era necessario contrastare fisicamente l'avversario, era un gioco tattico e leggermente psicologico. Ed era un gioco pericoloso!

 

Le nostre regole, forse ufficiali forse inventate forse travisate quasi complicate, erano motivo di furibondi litigi. Provo a descriverle consapevole di essere sin d’ora in difetto di comprensibilità oltre che di sintesi.

 

I ferri del mestiere innanzitutto. Una mazza/bastone robusto, in legno di “roera” (quercia), non più lungo del nostro avambraccio e dal diametro tale da poter essere impugnato da uno di noi marmocchi. Il pezzo forte: la “pendoea”. Una grossa scheggia di legno, preferibilmente in "oppio" (acero campestre) più leggero della quercia, lunga al massimo due spanne e con le estremità appuntite simile ad un fuso per la tessitura. Infine, la casa-base, un'area che chiamavamo tana, di forma circolare, circoscritta con il gesso bianco, nel mezzo di via Argine.


Mazza e lippino
Mazza e lippino

Si formavano a sorteggio due squadre, poco numerose. Un componente della prima squadra al perentorio grido: Pendoea! dava inizio alla sfida.


La lippa, il lippino per la precisione, veniva lanciato a mezz'aria per essere colpito con la mazza, il più forte possibile e con la massima precisione, cercando di evitare orti, finestre e viandanti.

Il lanciatore o battitore poteva contare su tre tentativi e se per tre volte non fosse riuscito ad incocciare il legno sarebbe stato eliminato (in gergo seccato).

 

Il compito dei ricevitori era quello di afferrare al volo il lippino per “far fuori”, ancora una volta, l'eventuale nuovo battitore. Qualora il legnetto, non intercettato, toccasse terra la squadra passava al "contrattacco" con un pronto rilancio nel tentativo di raggiungere il cuore della tana.

In questa fase il battitore poteva contrapporsi al tiro, alla stregua di un portiere, cercando di intercettare e deviare il lippino, affinché questo non entrasse nell’area di tana, evitando l’ennesima eliminazione.


Il giocatore in attacco (per convenzione la squadra che partiva dalla base era in attacco e quella che riceveva ovviamente in difesa) aveva ora a disposizione alcuni colpi di mazza (al massimo tre), per colpire il puntale del lippino, farlo schizzare in alto e mandarlo il più possibile lontano dalla base.

 

Al termine di questa fase piuttosto concitata, spesso interrotta da bastonate fuori controllo e ferite sanguinanti, il battitore “offriva” agli avversari una valutazione "spannometrica" della distanza, basata sul numero di mazze-bastoni, occorrenti per raggiungere la tana dal punto in cui si trovava il lippino.



Fase di gioco della lippa
Fase di gioco della lippa

La sbrigativa e generica offerta, se accolta dai ricevitori, consentiva di incamerare i primi punti, in caso contrario si dava corso al conteggio effettivo ed al conseguente punteggio (con il medesimo criterio mazze-bastoni). Tale risultato poteva essere raddoppiato qualora la reale distanza risultasse superiore all’offerta, penalizzante e senza attribuzione di punti se inferiore.

 

Tutte queste regole (incomplete) erano integrate da altrettante sotto-regole e dalle disparate, talvolta arbitrarie, interpretazioni e dalle diverse tecniche di gioco, ma non credo sia il caso di entrare nei dettagli per evitare il tedio a chi legge oltre che a me stesso.

Sono persuaso che per rendere comprensibile tutto questo guazzabuglio sarebbe necessario produrre uno schema o meglio ancora creare un elenco numerato tipo catalogo, ma non è questo lo scopo del racconto.


Tralascio anche di illustrare tutto il corollario di atteggiamenti liti e sberleffi tra le due compagini e trascuro pure la descrizione dei danni materiali, aggiungo solo, nel caso non si fosse capito, che il gioco della “pendoea”, era un gioco assai pericoloso!

Ne eravamo consapevoli ed ancor più di noi le nostre mamme. Quando i figli tornavano a casa con grossi bernoccoli in testa, con abrasioni sanguinolente ed occhi pesti.

 

Erano il frutto delle volontarie ed involontarie bastonate agli stinchi, delle lippate a mezz’aria, degli scontri verbali e fisici. Ed erano le nostre reali medaglie!

 

E tutto questo a me piaceva. E finalmente ero uno dei migliori in campo.

 

Ma non bastavano queste “amabili” distrazioni, cercavo sempre una alternativa al pallone o, meglio ancora, cercavo una nuova "squadra" con cui giocare e confrontarmi alla pari. Quelli della lippa erano pur sempre gli stessi appartenenti alla banda di via Argine. Erano quelli che mi mortificavano con il pallone e con tutte le angherie riservate ai più deboli.

Non poteva continuare a lungo.


Via Argine - terreno di gioco
Via Argine - terreno di gioco

Continuavano invece le scorribande di noi soldatini sotto l'arcigno sguardo del capobanda, mentre continuavano, anzi si accentuavano in me, piccole e nuove angosce.

 

Nel giorno della "redenzione" mi trovavo, tanto per cambiare, tra i pali della porta nel campetto sul primo rialzo dell'argine. Guardavo passare, giù in strada, alcuni ragazzini con le magliette verdi della squadra di calcio dell'oratorio. Anche quella non faceva per me, il calcio, con o senza magliette restava pur sempre calcio! Ero comunque attratto da quel piccolo gruppo. Le maglie, nuove, pulite e sgargianti attiravano la mia attenzione ed ancor di più quel pallone strano, incredibilmente bianco, tra le mani di uno dei ragazzi.

 

Non potevo certo palesarmi, per un mio disagio interiore, ma soprattutto per non incorrere nelle ire del capo. Il mio sguardo indugiava tra i componenti del gruppo alla ricerca di una faccia conosciuta.

 

Erano sei, forse sette fanciulli più o meno della mia età, tra i dodici e i quindici anni. Uno di essi, con mio grande stupore, pronunciò ad alta voce il mio nome uscendo appena dal gruppo. Probabilmente conoscevano la ferocia dei ragazzi di via Argine ed era preferibile restare uniti.

 

Distinsi a mia volta il giovinetto. Aveva capelli lunghi ricci e biondicci. Era della sezione "A" della prima media, uno che talvolta si univa a noi della sezione "C" nel salto della cavalletta. Anche in quel gioco io, lungagnone, facevo il palo. I pali mi perseguitavano!

 

"Micio" (il nomignolo con cui lo conoscevo) pronunciò ancora il mio nome ed era dunque evidente che volesse proprio me.

Lasciai la porta senza avvisare nessuno...tanto nessuno badava a me. Il pendio dell'argine un po' mi proteggeva alla vista del capo e mi avvicinai con cautela al ragazzino dai capelli ricci.

Il gruppetto in divisa verde indugiò quasi preoccupato al mio cospetto. Micio pronunciò poche e oscure parole: "non abbiate timore, questo è uno buono per noi". Buono a cosa? chiesi con tono sospettoso. Micio: "a giocare a pallavolo!"

 

Non sapevo bene di cosa si trattasse, non conoscevo gli altri del gruppo, men che meno le regole, ma il giorno dopo ero in un campetto finalmente pianeggiante, indossavo una maglietta verde, e c'erano anche le ragazze!

4 commentaires


Invité
19 févr.

Sempre piacevole leggere queste storie che tengono vive le memorie del passato.

Ciao

Fabio Bozzy Bozzao

J'aime

Invité
12 janv.

Che bello Gigi! Il destino bussa alla tua porta nel momento in cui ti senti inadeguato.. E ti mostra un'altra realtà dove essere protagonista

Anna 😘

J'aime

Invité
12 janv.

Un delicato viaggio nell'infanzia dove i sentimenti prevalgono sui fatti in modo semplice ed efficace. Grazie

J'aime

Invité
12 janv.

Caro Gigi, è sempre un piacere leggere i tuoi racconti! Soprattutto per recuperare il senso del tempo e della nostra storia.

Grazie Gigi!

J'aime

©2023 by Viaggi Senza Parole. Proudly created with Wix.com

bottom of page