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RIBELLI - PIANO INCLINATO

  • Writer: Luigi Perissinotto
    Luigi Perissinotto
  • May 6, 2024
  • 7 min read
6 Maggio 2024

I ribelli non hanno storie da raccontare e non hanno colpe e non hanno meriti. I ribelli si possono ascoltare, non comprendere. Noi giovani ribelli di via Argine eravamo inconsapevoli di esserlo. Alcuni di noi erano semplicemente ribelli per mancanza di alternative.


Fuori dalle quattro mura di casa io, mio fratello e gli altri eravamo in balia degli eventi. Di tutti gli eventi, di quelli naturali e di quelli indotti o addirittura cercati. Accadimenti anche privi di intenzionalità, senza strategie, preparazione o altro, come vuole e come lo consente solo la fanciullezza; solo folate di vento. Leggero, forte, impetuoso sempre improvviso e quasi sempre atteso. Quasi sempre tempesta! A soli due passi dalla porta di casa. Lì dove comandava l'anarchia assoluta. Quella banalmente deplorevole, amministrata da un capo spietato, tutt'altro che anarchico. Non un mostro, non disumano, semplicemente un ragazzo un po' più grande di noi. Di un paio d'anni. Quanto basta, a quindici anni, per essere un tiranno.


Il posto per l'adunata era quasi sempre il nostro “stravagante” campo di calcio. Non esattamente un convenzionale campetto, bensì un "pianoro dissestato", un piano inclinato tra due scarpate dell'argine, onnipresente prospettiva, non solo paesaggistica, che contraddistingue le nostre vicende e la nostra via che da esso prende il nome.


Il nostro era un campo di gioco, credo "l'unico" al mondo, situato nel gradone o sporgenza inferiore di un terrapieno, a circa quattro metri dal livello della strada sotto di altrettanti dal bordo superiore di massima piena del fiume. Larghezza inferiore ai cinque metri lunghezza variabile dai cinque ai trenta. Giocabilità al limite delle possibilità umane.



Il calcio è un gioco relativamente semplice, piano e lineare che si svolge, di norma, in un prato erboso con un perimetro ben delineato e soprattutto con una altrettanto lineare, usufruibile e livellata zona di "rispetto" e via di fuga. Per i calciatori, per i palloni persi, per le riserve e per le varie manovre collaterali.

Per noi non era affatto così! Il nostro perimetro non era uniforme né chiaro né delimitato bensì storto, contorto e soprattutto a due dimensioni, orizzontale e verticale, e a più livelli. Unico punto fermo, ma non immobile, le due porte, non sempre di pari larghezza quasi mai parallele.

Ogni pedata, ogni calcio, ogni deviazione poteva prendere una direzione inattesa, spesso contraddittoria e quasi mai gestibile con il semplice gesto tecnico. Il più delle volte era necessario uno sforzo fisico suppletivo e una notevole perdita di tempo per consentire il rientro della palla in gioco.


Il tiraccio poteva indirizzare la sfera oltre la scarpata lato strada ed il calciatore o i calciatori erano costretti a recuperarla tra gli orti, il cantiere edile e le sfuriate dei residenti. E questa, per inciso, era la condizione migliore, talvolta auspicata perché gestibile! Quasi favorevole.



Peggiore, molto peggiore era l'altra circostanza! Anzi l'altra scarpata. Quella dove il pallone, maldestramente incocciato, superava il margine superiore dell'argine e scendeva verso la grava, per noi "sottoriva" e verso il fiume. Rotolava lungo il pendio fino a perdersi tra i cumuli di ghiaia e di sabbia del porto fluviale fino a cascare nel greto della Piave e trascinato dalla corrente verso i territori nemici.


Alcune volte, ed era una evenienza fortunata per la continuazione della partita, il pallone si ingarbugliava tra le stoppie ed i piccoli arbusti appena oltre il costone superiore consentendo alla partitella di procedere come nulla fosse, ma costantemente in un piano inclinato, con una serie di pedate non convenzionali (verso l'alto piuttosto che diagonali o rettilinee) per mantenere la palla in gioco.

 

Anche il tiro in porta, quando era teso e potente, era una mezza sventura, ed il recupero del pallone un'impresa al limite della sopravvivenza, tra cani e padroni feroci, al di là di cancelli invalicabili dotati di speroni acuminati, tra i pomodori negli orti o per finire nelle vasche della calce del cantiere, o semplicemente confiscato.


La partita di calcio era una sfida tra noi della banda, raramente con le altre contrade o gruppi antagonisti forestieri. Ed era, almeno per me, una fonte di doppia o tripla umiliazione. Ancor prima dello scontro vero e proprio.


La prima mortificazione durante la “conta” per la composizione delle squadre.

Il pari e dispari era un diritto esclusivo del capo banda e di uno dei suoi fedelissimi e venivano scelti, in ordine decrescente di bravura pedatoria, i giocatori. Io, alto dinoccolato e lento, venivo preso per ultimo, quasi controvoglia e destinato (seconda umiliazione) tra i pali.

Ovviamente, nonostante alcune parate fortuite, mi sentivo inutile e goffo e speravo di poter abbandonare presto il campetto per dedicarmi a giochi di strada a me molto più congeniali (per esempio "a pendoa" in italiano gioco della lippa, lo scivolo con i cartoni e la caccia ai pipistrelli). Monellerie di cui racconterò in un prossimo episodio.

 

Al portiere, personaggio negletto nel calcio tra giovinastri, veniva imposto l'allestimento delle porte e la segnatura del campo di gioco. Due attività tutt'altro che semplici ed entrambi pericolose perché esclusivamente predatorie. I pali della porta e la calce per le linee (praticamente solo quella di fondo campo e il cerchietto del calcio di rigore) erano sistematicamente sottratti, nottetempo, dai magazzini del cantiere edile. Purtroppo, poche ore dopo, le linee venivano proditoriamente cancellate ed i pali divelti dall'anziano guardiano nonché proprietario del deposito. In tal caso la partita si svolgeva ugualmente con regole tutt’altro che precise, motivo di grandi discussioni che terminavano, immancabilmente, con una furibonda litigata.


Quindi la terza umiliazione. La più infausta. A fine partita, a carico della squadra perdente e soprattutto per il portiere della squadra perdente, l'obbligo, categorico e spesso brutale, di procurare le sigarette per il boss.

Io, ribelle tra i ribelli, in tutti i modi cercavo di non soccombere e dì non subire anche questa infamia che, più di altre, mi feriva. Utilizzavo stratagemmi e puerili astuzie. In porta anziché intercettare i palloni abbattevo gli uomini (tra l'altro, incerto e sgraziato com'ero, mi veniva facile) tutti, tranne il capobanda. Tra i pali di parare il più possibile, tranne i suoi tiri. A fine partita speravo e in qualche modo caldeggiavo una baruffa tra le due squadre, tale da distogliere le priorità e le insane voglie dell’imberbe tiranno.

 

Quasi mai riuscivo nel mio intento e, in base a criteri indecifrabili, talvolta dettati dalle emergenze altre volte dalla stagione, ero costretto a reperire le odiate sigarette, ovvero mezze cicche o surrogati non sempre plausibili delle medesime.

Esisteva purtroppo un ordine di preferenza al quale mi dovevo adeguare, imposto anche e soprattutto dai capricci del giovane despota o dalla mancanza di alternative, ma in ogni caso assolutamente da rispettare.


È complicato descrivere la prima alternativa alla quale mi dovevo applicare. Non tanto per la reperibilità del "prodotto" bensì per la spiegazione e per una identificazione accettabile e comprensibile del medesimo. In genere questa ricerca avveniva durante il periodo tardo autunnale quando le erbacce e le sterpaglie, lungo alcuni tratti dell'argine, ingiallivano e rinsecchivano e quando nella piazza del paese le osterie tenevano le porte chiuse ed i clienti al calduccio.


Una storica e caratteristica osteria del paese

Una pianta erbacea infestante dal lungo stelo coriaceo era il mio obiettivo. Uno stecco grigiastro, non perfettamente liscio con un midollo biancastro miseramente spugnoso.

Compatte fascine di questa sterpaglia, in un gergo assolutamente ristretto (usato forse solo da noi di Via Argine) chiamata "egoea" (probabilmente una varietà di assenzio selvatico) veniva principalmente utilizzata per l'innesco del "pan e vin" e, ovviamente ed in misura minore, in piccoli frammenti lunghi circa dieci centimetri, come esile cannuccia fumante.

Non tutti i ribelli della banda aspiravano questa robaccia. Solo il capo e alcuni soldati boriosi, soltanto per pochi secondi e solo per arroganza esibizionistica.


Ulteriore alternativa alla sigaretta, simile alla precedente ma la cui disponibilità poteva protrarsi fino a metà gennaio era la pianta del granoturco. Il nostro proverbiale “giacimento di polenta”, privato della pannocchia, restava eretto e leggermente prono nella parte superiore in molti campi controllati a vista. Il meschino avanzo vegetale, volgarmente chiamato canna, era impiegato come lettiera nelle stalle e da noi, ancora una volta, per il tradizionale e grande falò della Befana. Ma la canna (nome assai evocativo) era anche la parte utilizzata per essere fumata. Anch'essa conteneva una parte interna spugnosa e biancastra e, a detta dei nostri fumatori, molto più appagante e meritevole di altre erbacce.


Quando le osterie riaprivano i battenti ed i piccoli tavolini rotondi in alluminio facevano la loro comparsa sotto i portici era il tempo delle cicche. Per me una pena infinita e un disagio senza pari. Il proposito era quello di raccogliere i mozziconi abbandonati sul selciato o lasciati, ancor fumanti e sbavati, nei portacenere. I pezzi migliori erano quelli senza filtro e consumati solo in parte. Come una insperata monetina tra le immondizie. Quando la quantità di cicche riempiva il palmo della mano la ricerca poteva essere interrotta ed iniziava la cernita del tabacco e la composizione di una simil-sigaretta con la carta velina delle arance (la finissima cartina, dai colori sgargianti, che avvolgeva gli agrumi). In questo caso solo il capo poteva fruire di questa sventurata e coercitiva offerta. Gli altri, sottocapi e fedelissimi, stavano a guardare.


Ultima prova. Apice della insana graduatoria. La più impegnativa dal punto di vista morale, la più infamante se scoperta e resa pubblica. Soprattutto per un ribelle, alla fin fine, remissivo come il sottoscritto.

Ovviamente le sigarette integre! Possibilmente intonse, magari impacchettate, magari le mitiche Nazionali Senza Filtro, sempre disponibili e senza vincoli di sorta, se non uno: possedere i soldi.

Per averli, lo scellerato (capobanda) aveva una soluzione a prova di cretino. Quindi giusta per me. Prendere i soldi lì dove c'erano, non tanti, ma accessibili ed usufruibili senza sforzo e soprattutto non vigilati.

Dove se non in chiesa? nella cassetta delle elemosine accanto alle candele votive dedicate alla Madonna!




La prima volta, convinto da una torcia gocciolante plastica fusa, ho dovuto cedere.

Come uno zombie ho ascoltato le istruzioni, appreso le tecniche e mi sono risvegliato in chiesa, da solo, nella penombra avvolgente e protettiva dinanzi alla cappelletta con la icona della Madonna con il Bambino.


Il sistema per estrarre le monete dalla cassetta prevedeva l'utilizzo di una penna d'oca (piuttosto rigida ma sottile e resistente) con la punta intrisa nella pece (utilizzata nello squero per calafatare le piccole falle sullo scafo dei "burci"). Con mano tremante e con il timore di essere scorto da qualche fedele se non addirittura dal temutissimo Monsignore ho introdotto il vile pennacchio nella fessura con l'intento di "pescare" una moneta da cinquecento lire in argento.


Rovistando sul fondo della cassetta la pece ha fatto ciò che era verosimilmente fattibile: un clamoroso impegolamento! Un miscuglio, un amalgama confuso di monetine e la quasi otturazione della feritoia. Ho recuperato con difficoltà l'attrezzo privo di qualsiasi spicciolo, abbandonato l'edificio sacro pronto alle bastonate del capo.


Alla seconda analoga e perversa missione ho preferito optare immediatamente per le legnate!


(segue Aspettavo mio padre)

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6 commentaires


giovanni spadari
giovanni spadari
07 mai 2024

Leggere i tuoi racconti è come sfogliare l'album di fotografie di famiglia,vedere lo scorrere della vita,tra pantaloni corti e magliette linde.Quanto simili sono le tue ambientazioni ai miei tempi passati,nei campi di calcio,da noi creati vicino alla stazione del treno,dove abitavo.Sempre emozionante per me leggere i tuoi racconti.

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Invité
08 mai 2024
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Grazie Giovanni per questo commento che sembra parte integrante della mia storia, che la arricchisce e la rende ancor più vera. Gigi

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Invité
07 mai 2024

Molto, molto interessante...!

Ciao! Antonella

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Invité
07 mai 2024

Top!!!

Ciao Nicole😊

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Luigi Perissinotto
Luigi Perissinotto
07 mai 2024
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Grazie Nicole. Ti voglio bene...

Gigi

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Invité
06 mai 2024

Bravo Gigi!

Sono rimasto molto colpito dalle 3 umiliazioni quasi come le piaghe d'Egitto...

La modalità di composizione delle formazioni se può consolarti era uguale anche da me a Sant. Elena (Venezia) solo che io ero sempre tra i primi se non addirittura il primo adessere scelto 😜😁⚽

Aspetto la prossima storia 👍👋

Ciaoooo

Fabio Bozzy Bozzao


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