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UNA SETTIMANA "DE CESA"

  • Writer: Luigi Perissinotto
    Luigi Perissinotto
  • Nov 23
  • 6 min read

Updated: Nov 24

24 Novembre 2025

"Uno de cesa", si diceva in giro, era una persona per bene, timorata di Dio (che non ho mai capito perché)... a casa mia non eravamo "de cesa" ma mi sembravano ugualmente tutte brave persone... e non timorate da Dio.

Persone perbene, forse più di tante altre, ma ero ovviamente di parte e l'altra parte era spesso lontana. Addirittura, cosa del tutto singolare a quei tempi, ognuno di noi era libero di esprimersi senza tante giravolte e senza peli sulla lingua e, cosa ancora più eccezionale, senza volgarità e senza parolacce. Proprio come quelli timorati.


Eravamo, d’altronde, un piccolo nucleo, più incline ad una semplice e spontanea anarchia piuttosto che ad una complicata democrazia. In ogni caso nei momenti in cui la nave barcollava, la guida, il timoniere che ci riportava nella giusta rotta, era sempre nostro padre.

Una persona libera, che non alzava muri e non creava ostacoli, in nessuna forma e in nessun contesto, men che meno in quello religioso.

Lui che era, oltre che un buon padre, anche un buon comunista, uno di quelli a cui non piaceva mangiare i bambini. Anzi con essi ci giocava!


Aldo (mio papà) era, ulteriore stranezza, anche un uomo lungimirante, un inconsapevole innovatore, più pratico che teorico, un grande lavoratore ed un ancor più grande sognatore. Un uomo che esprimeva le proprie convinzioni con pacatezza e fermezza, senza clamori e senza mai alzare la voce. Uno che odiava le parolacce, i bestemmiatori più o meno incalliti, i comizi e le ipocrisie. Una roccia in casa, un riferimento con i parenti e un leader con gli amici.


La mamma, senz'altro una roccia al pari di papà, era una credente a "mesi alterni". Spesso esagerata in un senso o nell'altro. Chiesa, dottrina e preghiera ovvero casa, giochi per strada e uno sperpero di stravaganti facezie che avrebbero deliziato un cabarettista. Vero sangue "caliente" calabrese.


Nonna, come ho ricordato in un precedente episodio dei miei "viaggi della memoria", era una specie di partigiana, delusa dai piccoli poteri locali e dal piccolo clero. Una che le orazioni le declamava sottovoce e al buio, nel lettone assieme ai nipoti annoiati ed assonnati mentre raccomandava agli stessi di scegliere il pallone piuttosto che la messa.


Io ero un involontario ribelle, attratto sia dai vasti e ordinati cortili all'ombra del campanile, sia da quelli "selvaggi" di via Argine. Ero anche un ingenuo marmocchio perennemente distratto da cosa e da chi mi passava accanto e spesso, e non solo per questo, respinto. Anche e soprattutto da alcuni preti, quelli con le tonache lunghe e nere con i loro inconcepibili favoritismi. Entravo in chiesa di nascosto e quasi mai per pregare. Uscivo dalla chiesa quasi pregando.


Roberto, mio fratello, era un piccolo uccellino che saltava da un banco all'altro della chiesa come si trattasse di un “burcio” sulla Piave, innocente ed incurante di quanto accadeva e da me inconsciamente protetto, solo perché di un anno più piccolo, dalle intemperanze dei soliti preti e "parapreti".


Lorella, la mia "strana" e un po' sfortunata sorellina, ancora non sapeva parlare e tantomeno pregare e alle suore tutto questo non piaceva affatto!


Nella mia famiglia, a metà degli anni sessanta, il "richiamo" religioso si riduceva a questi episodi, era marginale, ma non assente, riconoscibile ma non manifesto e tantomeno manifestato.

Tranne che a Natale.

Natale che iniziava inesorabilmente il 24 dicembre e terminava fatalmente con l'arrivo della Befana.


L'albero, che compariva come d’incanto solo nelle prime ore della vigilia, accompagnato da un penetrante odore (profumo) di caramelle alla fragola e muffa, era alto poco più di un metro, era sintetico, ma verosimile più del vero, con aghi di pino radi e cadenti e pigne piccole (vere?) con i semini rossi e un supporto di cinquanta centimetri di lato, in legno e muschio e fili d'erba e funghetti bianchi e rossi che a noi pareva un bosco incantato.

Poi, da uno scatolone grande, macilento e marroncino, contenente scatole più piccole un tempo bianche e scatoline blu, in un turbinio di cartine velate e fili d'argento, iniziava un veloce processo di allestimento a sei/otto mani.


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Io avevo due compiti ben precisi. Mettere il puntale (solo perché era un po' più alto di mio fratello) e la piccola ballerina di vetro soffiato opalino in un rametto sporgente (solo perché ne ero segretamente innamorato).

Il momento che tutti aspettavamo, ultimo importante ornamento prima delle candeline elettriche in bachelite, era accompagnato da un fiabesco rituale ed iniziava, inesorabile, solo all'imbrunire, quando papà smorzava le luci e accendeva, improvvisa ed abbacinante solo quella della piccola giostrina di carta blu velata, leggera e quasi evanescente con diafani diagrammi in stile circense giallini e rossi.

Quasi un teatrino di volatili immaginette agganciato, con un piccolo ed attorcigliato succhiello, all’esile tronco dell'albero e che, ruotando leggiadro grazie al calore della lampadina, spargeva nella piccola stanza e sui muri calcinati di bianco i colori più belli e più dolci e più flebili del mondo.

E noi, tutti, sedotti ed estasiati come spettatori di uno spettacolo replicato uguale ogni anno e… mai visto!


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Ma, per la verità, in quella convulsa e disordinata settimana "de cesa" più dell'albero si avvertiva reale, tra le mura di casa, l’atmosfera, ogni anno diversa ed ogni anno sorprendente, del nostro presepio! Un vero vanto famigliare. Un richiamo per tutto il piccolo borgo, per gli amici e per i numerosi "concorrenti", atteso come è più dell'arrivo di Gesù Bambino che, a quel tempo, era l'unico "autorizzato" a portare i regalini e Babbo Natale stava ancora negli scantinati della Coca-Cola.


Papà, ogni anno, dedicava il suo presepio ad una montagna. Il monte Pelmo, la Marmolada e il monte Peralba erano i suoi prediletti e, di conseguenza, anche i nostri, senza peraltro averli mai visti, nemmeno in foto.


Lui era l'ideatore e si occupava delle strutture sottostanti e nascoste, delle piccole impalcature, sostegni e roba simile. Roberto, ancorché piccolino era già un valido falegname e un preciso miniaturista e si dedicava alla costruzione delle casette, di un mulino o di una teleferica, della capanna e di altri piccoli oggetti che davano movimento e colore al paesaggio. Io ero l'allestitore “capo” e curavo i dettagli posizionando i vari elementi in modo scenografico con l'intento di rendere il tutto armonioso e il più possibile corrispondente al progetto iniziale.

Una pecora staccata dal gregge, ad esempio, o un pastorello lontano dalla casetta per mantenere corretta e verosimile la prospettiva.


Ultimo allestimento alcuni anni fa
Ultimo allestimento ... alcuni anni fa
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Ma il segreto di questa messa in scena rievocativa, il successo e l'ammirazione che ogni anno otteneva, era basato sull'eccezionalità dei suoi elementi costruttivi, in particolare quelli delle montagne. Montagne assolutamente rocciose.

Un mistero svelato piano piano con il passare degli anni e con sempre nuovi, ma sempre uguali, componenti. Erano rocce, pietre e basalti, pinnacoli e guglie imbiancate, erano grigie dolomie e verdi quarziti ed erano, tutti, frammenti realizzati con i residui di rattrappite vernici.


Lo scatolone delle rocce di vernice
Lo scatolone delle rocce di vernice

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Mio padre era un esperto e bravo falegname e tra le sue mansioni vi era anche quella di dipingere porte ed infissi, in particolare scuri e persiane. Verdi in prevalenza, tipici delle case di campagna ed in svariate tonalità, talvolta marrone e raramente bianchi.

Vernici e colori sovrapposti, giorno dopo giorno anno dopo anno, ostinatamente attaccati ad un fondale protettivo come un denso muschio sulla parete rivolta a levante o simili ad agglomerati di magma raffreddato.

Papà ogni anno, in prossimità del Natale, staccava i pezzi migliori di queste tormentate croste. Alcune più grosse delle altre, perfette per il monte Pelmo, altre spruzzate di bianco per la Marmolada altre ancora, come mare spumeggiante per i verdi declivi delle valli alpine. Poi, tra le rocce, un ruscello di stagnola recuperata dagli ultimi e preziosi cioccolatini, una cascatella alimentata da un piccolo mulino elettrico o una teleferica in movimento tra due alti cucuzzoli.


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Un pezzo del Monte Pelmo
Un pezzo del Monte Pelmo

Un anno, non ricordo quale, vincemmo il primo premio in provincia di Venezia. Secondi, alle nostre spalle, i lavoratori dello Stabilimento Montedison di Marghera. La premiazione avvenne a Palazzo Ducale, in una sala gremita, grande e preziosa con immensi dipinti alle pareti; io e Roberto piccoli ed intimoriti fummo sommersi e sovracaricati di dodici grossi volumi dell'"Enciclopedia dei Ragazzi" che ancora conservo.


Arrivava infine la Befana. Dopo la settimana "de cesa" ecco finalmente la settimana del “pan e vin” di cui ho già raccontato. E sotto il grande falò la nostra "paurosa" Befana.

Anche per lei papà metteva in campo la consueta teatralità e il consueto alone di arcano mistero. Vicino alla stufa poneva un cartoccio con la pinza e un bicchiere di vino rosso e fuori, all'ingresso, una manciata di paglia. Al mattino, dopo il passaggio oscuro, notturno e silenzioso della vecchina e del suo asinello, restavano alcune briciole della "pinsa", alcune macchie di vino e pochi rimasugli di fieno... ed incongrue orme, strascicate e fangose, sul pavimento.


Appese al letto restavano anche due calze pesanti color nocciola o grigie della nonna. Gonfie di ogni ben di Dio (!?).

Eccitati e timorosi io e Roberto, attenti a non mischiare il contenuto, ci guardavamo in giro sbalorditi per ogni mandarino, per ogni noce e per ogni pezzo di finto carbone zuccherato che usciva da quelle calze.

In occasioni speciali, accanto alla stufa, la Befana, dopo aver mangiato la rustica e poco attraente "pinsa" ci lasciava piccoli mandorlati con nocciole e pezzettini di cioccolato, stranamente simili se non uguali a quelli fatti dalla nonna.


Più tardi, nel pomeriggio, l'albero ed il presepio tornavano negli scatoloni.


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2 Comments


Guest
Nov 24

A mi capitava di trovare ibagigi felice di leggerti ricordi di gioventù ciao

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Guest
Nov 24

Bravo Gigi.

Sempre appassionante leggerti!

Quanta felicità con poco...

Cari saluti

Fabio Bozzy Bozzao

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