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VOLARE IN SALITA

  • Writer: Luigi Perissinotto
    Luigi Perissinotto
  • May 25, 2023
  • 4 min read

(e non solo con l'inglese)


25 Maggio 2023

Volare non mi dispiace. Sono abituato dopo anni di lavoro spesso fuori sede. I voli lunghi non sono stati frequenti, ma mi ricordo bene, ad esempio, il rientro da Minneapolis in mezzo ad una bufera di neve con le ali ghiacciate. Oppure il primo volo a Vancouver con mio figlio Filippo che a dodici anni parlava inglese meglio di me (ci vuole poco) tanto che l'hostess a bordo manco mi guardava e portava bibite e snack in quantità industriale solo a lui. Oggi, da Francoforte a Seattle, il viaggio lo faccio da solo a bordo di un aereo Condor con livrea a righe concentriche verdi e bianche che pare un bruco. Mi guardo in giro ma c'è poco da guardare, siamo in pochi a bordo e anche fuori dal finestrino non c'è granché. Mi dedico al benessere personale visto che ho dieci ore di volo da consumare. Una donna imponente in tenuta da hostess si sta avvicinando. Mi giro verso il finestrino per non "farmi vedere". Mi lancia uno sguardo interrogativo, come a chiedermi se va tutto bene. Forse ha capito che sono un italiano imbranato.


Sono controllato da una hostess teutonica, con capelli scuri aderenti ad un cranio squadrato, ha labbra sottili e bocca serrata con un impercettibile sorriso, lo sguardo ad altezza di cappelliera e occhi scuri ed immobili. Ho temuto per la mia vita. Ce ne sono altre che mi sembrano più carine ma temo che la tedescona si sia già "affezionata" a me e non la voglio provocare. Non mi muovo e al benessere ci penserò più tardi.


Ho comprato qualcosa a mia insaputa. La signorina col carrello è arrivata improvvisamente alle mie spalle e mi ha passato le cuffiette audio che le avevo chiesto dicendomi alcune cose in inglese alle quali io ho risposto con uno "yes, thank you" nello stesso suo perfetto idioma ricevendo un bel sorriso assieme alla richiesta della mia carta di credito. Ho chiesto "how much?" senza ovviamente sapere "how much" cosa? Ma la serie di numeri (almeno credo si sia trattato di numeri) da lei pronunciati erano troppi e troppo complicati da capire. Ho ripetuto "thank you". Chissà cosa ho comprato? Quando arrivo devo controllare gli addebiti nel mio conto. Per il momento, qui a bordo, non mi sta arrivando nessun oggetto o bibita o altro.


Ho guardato e in parte ascoltato un film: A.I. di Spielberg. Non l'avevo ancora visto. Adesso che l'ho visto un giorno dovrò anche capirlo. Anche in questo caso, nelle funzioni del monitor di fronte a me, potevo selezionare la lingua: inglese, tedesco, francese e spagnolo. La prima parte non l'ho capita in inglese mentre la seconda parte non l'ho capita in spagnolo. Allora ho provato a ripartire dall'inizio con il francese per passare al tedesco. Alla fine ho visto il film quasi due volte, mi sono pure commosso con quel bambino artificiale e quella mamma sofferente (l'orsetto l'ho odiato dal primo momento), ma ho capito che verrà un giorno che lo capirò (i dialoghi non il significato, che è chiaro)... Ma non oggi. E quando lo capirò sarà di sicuro in italiano. E pensare che eri convinto di conoscere le basi e qualcosa di più di questa lingua. Ho quindi abbandonato i film per passare alla musica.


Il pranzo a bordo è mezzo tedesco e pseudo italiano. Maccheroni al pomodoro, un formaggino con i crauti e una panna cotta. Ho mangiato peggio una volta a Venezia. La tedescona mi ha convinto a prendere un caffè ma prima di dirle "thank you" ho controllato fosse gratis. Non vorrei mai pagare, nuovamente, qualcosa di non voluto o di sconosciuto.


Sotto di noi, undicimila metri più giù, la Groenlandia. Montagne e canyon scavati dai ghiacciai, lingue interminabili di fiumi di gelo millenario solidificato e un bianco candore, troppo esteso per i miei occhi meridionali, pauroso ed accecante. Senz'altro anche in mezzo a questa stupenda desolazione è arrivato l'uomo, non ne vedo le tracce, ma sono sicuro che un paio o forse più di nostri simili sono passati da queste parti... mi ricordo che anche un Angela lo ha detto e Giacobbo lo ha confermato. Quindi io non ho dubbi.


Poi mi sono addormentato e risvegliato mille volte. O forse non ho mai dormito. Il display dice che mancano 2022 km alla destinazione. Io ne devo fare altri 6000 piano piano con il mio furgoncino del trasloco. Volare non mi dispiace affatto.


Sono seduto in una stazione ferroviaria secondaria e ottocentesca di Seattle. Sono le 20:30. Sono da solo e senza la possibilità di inviare messaggi a causa di una connessione internet instabile. Mi rendo conto che è iniziata, ora e per davvero, la mia avventura, ed è iniziata negli Stati Uniti e con mio grande disappunto. A Seattle ho perso prima il bagaglio e poi l'aereo per Vancouver. Non mi dilungo perché sono stanco: siamo arrivati con mezz'ora di ritardo e ho atteso il mio bagaglio ultimissimo e dopo tre quarti d'ora di acuto nervosismo. Ho passato la dogana a Seattle e mi sembrava di essere alla processione della Madonna del colera. Lenti e meditabondi. Nel frattempo mi hanno caricato (?) il bagaglio. Ho raggiunto con due trenini il gate per Vancouver, lontano dall'aeroporto centrale, praticamente in un altro paese Ovviamente l'aereo era partito, e con me sono rimaste a terra altre 15 persone indemoniate. Mi dicono che il prossimo volo per Vancouver parte fra due giorni, il 27 maggio. Ho pensato di mandarli a quel paese ma non sapevo come dirlo e mi è uscito un "fuck you" maleducato. Sono passato al customer service per il bagaglio e dopo aver parlato in dieci lingue diverse, compreso Google translate, mi hanno detto che il bagaglio, visto che il passeggero (io) non era a bordo era stato scaricato. Ho dovuto recuperarlo scavalcando transenne ed ignorando vari divieti e parecchi rimproveri. Ho preso un taxi. Mi sono recato alla stazione dei treni indicata dal tassista. Il treno non c'era, ho preso un bus. Ho rifatto la dogana alla frontiera con il Canada e il poliziotto mi ha fatto un interrogatorio tipo film americano (appunto). Sono arrivato a Vancouver all'una di notte. Ho parlato con Ricardo e prendo un taxi per andare da lui.


Mi aspettava un comitato di accoglienza composto da quattro ubriaconi compreso Peter padrone di casa. E che casa? La foto qui sotto lo spiega bene. Domani, anzi oggi, faccio baldoria. È andata bene! Almeno credo.

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Casa di Peter

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